22 agosto 2019 17:03

In questo momento la Colombia fatica a reggere il peso dell’immigrazione dal Venezuela. Le scuole e gli ospedali sono pieni. Gli spazi pubblici sono sovraffollati. Ciononostante, indifferente a una moderata opposizione dell’opinione pubblica, il governo di destra continua a tenere aperti i confini del paese, attraversati quotidianamente da un numero sempre maggiore di persone in fuga dal collasso dell’economia venezuelana.

Di recente il presidente colombiano Iván Duque ha concesso la cittadinanza a 24mila bambini nati in Colombia da donne venezuelane. Il provvedimento riguarda anche i bambini che nasceranno nei prossimi due anni. È un’offerta generosa, e senz’altro molte venezuelane lasceranno il paese per crescere i loro figli in Colombia.

Ma perché la Colombia, paese afflitto da gravi problemi e appena uscito da vent’anni di guerra civile, fa di tutto per aiutare il Venezuela? Anche se la scelta di Bogotá è stata elogiata dalle istituzioni umanitarie, le azioni del governo colombiano non nascono solo dalla buona volontà, ma anche dal tentativo di controllare un flusso di migranti venezuelani che proverebbero a entrare nel paese anche senza l’offerta della cittadinanza per i bambini.

Un ruolo importante
In questo modo, evidentemente, la Colombia può presentarsi come paese all’avanguardia globale nella gestione della migrazione. Nonostante il governo mantenga un atteggiamento ambivalente rispetto alla cittadinanza per ius soli, una consuetudine in tutto il continente, l’impostazione generale della sua politica migratoria è degna di nota: la Colombia apre i confini in un momento in cui altre nazioni, anche nella regione, si affannano a chiuderli. La scelta di Bogotá combina un cinico realismo (la consapevolezza che niente potrebbe fermare il flusso migratorio) con una strategia impostata sull’integrazione economica e su una sincera benevolenza nei confronti del Venezuela, paese che ha giocato un ruolo importante nella storia colombiana.

“Davanti a quelli che vorrebbero trasformare la xenofobia in un credo politico, noi scegliamo il cammino della fratellanza”, ha dichiarato Duque nel discorso televisivo in cui ha annunciato il suo provvedimento sulla cittadinanza per i bambini. “Davanti a quelli che vogliono emarginare e discriminare i migranti, oggi noi annunciamo di volerli accogliere e aiutare in questi tempi difficili”.

I leader colombiani hanno considerato che niente potrebbe arginare l’immigrazione

Le parole di Duque possono sembrare insolite in bocca a un capo di stato della destra moderna. Anni di emigrazione verso gli Stati Uniti, l’Europa e l’Australia hanno spinto i paesi più ricchi a limitare l’accesso ai migranti, e molti politici hanno fatto carriera lanciando allarmi sui pericoli legati all’immigrazione. In questo senso la Colombia rappresenta un caso interessante: un paese meno ricco che decide di aprire anziché chiudere le porte davanti a 1,4 milioni di nuovi residenti (un numero che tra l’altro è destinato a crescere).

Quando ho chiesto a Felipe Muñoz, responsabile della gestione dei confini nazionali, se il decreto presidenziale potrebbe spingere un numero maggiore di donne a partire per la Colombia, mi ha risposto di no.

“Non pensiamo che la migrazione sia alimentata dai provvedimenti amministrativi”, mi ha spiegato. “Queste donne sarebbero comunque entrate in Colombia per partorire. Il motivo è che in Venezuela non ci sono ospedali. Forse, allora, è meglio che tutto sia organizzato a dovere”.

Considerando gli oltre 1.500 chilometri di confine aperto tra Colombia e Venezuela, i leader colombiani hanno basato la loro politica sul presupposto che niente avrebbe potuto arginare l’immigrazione. Tentare di limitare o di ostacolare il flusso di persone dal Venezuela sarebbe stato come provare ad arginare un fiume in piena con sacchi pieni di sabbia. Per questo motivo il governo sta provando a gestire l’ondata in corso nel modo più ordinato possibile: aumentando i posti nelle scuole, incrementando i fondi per gli ospedali, introducendo nuove iniziative per integrare i venezuelani e aprendo settori economici per permettere ai nuovi arrivati di guadagnarsi da vivere. Anche perché il rischio è che le comunità già vulnerabili siano travolte da una marea di disperati pronti a tutto per sopravvivere.

Consenso e soldi in diminuzione
Il governo ha speso centinaia di milioni di dollari per migliorare ospedali e scuole, per facilitare i prestiti e per aiutare le comunità colpite nella zona di frontiera. Bogotá sta creando un’ampia struttura per l’impiego dei fondi statali dedicati alla crisi migratoria. Purtroppo, però, il denaro scarseggia in un budget nazionale già intaccato dal processo di riconciliazione dopo la conclusione della guerra civile, nel 2016. I vertici del governo si aspettavano che gli elogi della comunità internazionale per l’apertura migratoria della Colombia fossero accompagnati da corposi assegni, ma non sempre è stato così.

A complicare ulteriormente la situazione c’è il fatto che parte dell’opinione pubblica non accetta di buon grado l’apertura nei confronti dei migranti. Quando l’annuncio di Duque è stato pubblicato sui social network è immediatamente apparsa una lunga lista di commenti di cittadini colombiani che chiedevano perché il governo avesse deciso di spendere soldi per aiutare i venezuelani anziché risolvere i problemi della popolazione. La generosità iniziale sta lentamente scomparendo.

Un sondaggio effettuato dall’istituto di ricerca colombiano Invamer e commissionato da un grande gruppo mediatico locale, ha riscontrato che la disapprovazione dei colombiani per la gestione della crisi venezuelana da parte del governo è salita dal 34 al 56 per cento da febbraio a luglio, mentre il gradimento per le politiche di accoglienza nei confronti dei venezuelani è sceso dal 56 al 46 per cento. Molti venezuelani e organizzazioni umanitarie riferiscono un aumento della rabbia e della xenofobia verso gli immigrati. Nella maggior parte dei casi i venezuelani arrivati via mare, in autobus o a piedi hanno potuto fare affidamento su una solida rete di assistenza umanitaria predisposta dalle ong colombiane.

I problemi legati agli sviluppi a lungo termine sono emersi con il moltiplicarsi di comunità di immigrati nelle zone più povere delle grandi città. La crisi migratoria, inizialmente confinata alle aree di frontiera, si è estesa ai grandi centri urbani, dove le famiglie venezuelane vivono in condizioni di povertà. Soltanto a Bogotá (sette milioni di abitanti) vivono ormai 350mila venezuelani.

La comunità venezuelana di La Magdalena, nella zona orientale della capitale, è circondata dai capannoni industriali. Circa cento famiglie vivono in baracche di mattoni, tra cumuli di macerie e spazzatura. Tirano avanti frugando nell’immondizia e vendendo i materiali di scarto a una vicina industria per il riciclaggio. I bambini usano giocattoli recuperati nella spazzatura dai genitori. Nella zona l’acqua corrente sgorga solo da poche fontanelle, per altro difficili da localizzare. Le comunità continuano a crescere a causa del flusso di migranti arrivati dal Venezuela per ricongiungersi a cugini e nipoti che hanno trovato una sorta di stabilità a La Magdalena.

Il rebus della Colombia riguarda il modo di tenere queste persone lontane dalla povertà

Un decreto del governo emanato l’anno scorso stabilisce che tutti i bambini venezuelani hanno diritto di frequentare le scuole pubbliche colombiane, ma in molti istituti non c’è spazio a sufficienza. I bambini della Magdalena finiscono spesso in lista d’attesa. Sono curati gratuitamente negli ospedali, ma solo in caso di emergenza. Gran parte degli adulti lavora in nero.

Le nuove comunità come La Magdalena rappresentano un pericolo per la stabilità della Colombia. Nel corso di una generazione alimenteranno l’economia clandestina e probabilmente la criminalità, creando problemi per la sanità pubblica e ostacolando il tentativo dell’amministrazione comunale di garantire i servizi di base a tutta la popolazione.

Il rebus della Colombia riguarda il modo di tenere queste persone lontane dalla povertà, possibilmente con un lavoro stabile, un’istruzione e un’assistenza sanitaria gratuita in modo che possano diventare cittadini produttivi in un’economia moderna. Naturalmente è più facile a dirsi che a farsi, soprattutto considerando che il tasso di disoccupazione nel paese è già al 10 per cento. Il governo ha sperimentato collaborazioni tra pubblico e privato per investire nelle opportunità economiche create dalle necessità dei nuovi arrivati. Bogotá ha già emanato 700mila permessi di lavoro speciali per i venezuelani e sta provando a stimolare gli investimenti nelle aree di confine per assorbire la crisi.

Con un finanziamento adeguato, il flusso di immigrati potrebbe essere usato per costruire un futuro migliore per tutti. Ma nel paese scarseggiano i fondi e le risorse per gestire un’immigrazione di questa portata. Nel suo recente discorso, Duque ha sottolineato questo contrasto con i paesi più ricchi, in grado di assorbire meglio i migranti dal punto di vista economico. “Anche se abbiamo un reddito pro capite che non supera gli ottomila dollari all’anno, nettamente inferiore a quello di molti paesi europei che hanno dovuto affrontare la crisi migratoria, sappiamo come agire seguendo i valori della fratellanza e della solidarietà”.

Uno scambio di favori
Molti colombiani, però, rifiutano il paragone con la politica migratoria degli altri paesi a causa del tradizionale rapporto tra le due nazioni, con la Colombia considerata a lungo “la sorella minore” del Venezuela. Nel suo discorso, Duque ha ricordato che questo mese ricorrerà il bicentenario della guerra d’indipendenza, in cui Colombia e Venezuela hanno combattuto fianco a fianco. Nell’agosto del 1819 Simón Bolívar, conosciuto in Colombia come “il Liberatore”, attraversò il confine del Venezuela per liberare Bogotá dal giogo imperiale spagnolo e fondare una grande nazione di cui facevano parte entrambi i paesi.

Molto dopo la scomparsa di quello stato unitario, mentre il Venezuela conquistava una posizione dominante in America Latina grazie ai giacimenti petroliferi, la Colombia era devastata dalla povertà e dalla guerra. In quel periodo centinaia di migliaia di colombiani fuggirono dalla violenza per cercare una vita migliore in Venezuela, ricevendo un’accoglienza calorosa. “Vent’anni fa, quando accadeva il contrario rispetto a oggi, loro ci hanno dato il benvenuto. Per questo, per tutti i colombiani, si tratta di un argomento molto sentito”, mi ha spietato Sergio Guzman, fondatore della società di consulenza Colombia risk analysis.

Molti ritengono che la Colombia stia semplicemente ricambiando il favore a un vicino che per due volte ha aiutato il paese, un fatto di cui i venezuelani sono ben consapevoli. Gli immigrati venezuelani non hanno dimenticato i disperati che entravano nel loro paese quando era ancora una nazione ricca, non solo dalla Colombia ma da tutta l’America Latina, e ricordano come hanno accolto i nuovi arrivati.

“Il Venezuela ha aiutato molti colombiani”, mi ha detto Rossana Tua, 33 anni, fuori della sua baracca di mattoni a La Magdalena, dove vive da quasi due anni. “Ora tocca alla Colombia aiutare i venezuelani”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito su The Atlantic. Leggi la versione originale. © 2019. Tutti i diritti riservati. Distribuito da Tribune Content Agency.

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