29 ottobre 2015 15:08

Che ne direste se ottenere la residenza in un altro paese fosse semplice come aprire un account su Dropbox? Ora la cittadinanza digitale è un’ipotesi più vicina grazie a innovazioni come l’e-residency in Estonia, che fornisce un’identità digitale anche a chi non è cittadino estone.

Per l’Estonia la tecnologia non è solo un modo per stare al passo con le innovazioni degli stati più grandi, ma per riflettere sull’idea di paese come marchio e su cosa può “vendere” agli altri paesi.

Mentre gli altri fanno a gara per creare un’altra Silicon valley, l’Estonia si sta dando da fare per trasformarsi in un paese che fornisce un servizio (una specie di app sul Baltico) esattamente come anni fa la Svizzera e il Lussemburgo diventarono dei paradisi fiscali approfittando di scappatoie giuridiche per ritagliarsi la loro nicchia.

L’Estonia sta riscrivendo le leggi per usarle in modo da ridefinire il concetto di sovranità nel ventunesimo secolo. E altri paesi farebbero bene a osservare il fenomeno.

Alla fine di settembre il paese ha rilasciato più di cinquemila kit di e-residency, che consente ai destinatari di creare e gestire attività commerciali e bancarie dall’estero. Dato che l’Estonia fa parte dell’eurozona, il progetto è particolarmente interessante per chi vuole avviare scambi commerciali nella regione. Il governo estone lo considera un modo per ritagliarsi un ruolo di primo piano nell’esperimento di e-government più avanzato al mondo.

I paesi all’avanguardia cercano di semplificare le procedure per attirare migranti altamente specializzati con nuovi tipi di visti commerciali

L’obiettivo, ambizioso, è di raggiungere dieci milioni di nuovi residenti digitali entro il 2025, in un paese che oggi ha poco più di 1,3 milioni di residenti effettivi (ma non sono concessi né diritti di residenza fisica né la cittadinanza legale).

I paesi all’avanguardia cercano di semplificare le procedure per attirare migranti altamente specializzati con nuovi tipi di visti commerciali, ma le norme e le regolamentazioni su tutto il resto – dal registrare un’azienda all’apertura di un conto in banca al trovare una casa – non sono esattamente rimaste al passo.

Aprire un negozio in un altro paese può essere un incubo burocratico: parlo per esperienza personale, visto che mi sono da poco trasferito dagli Stati Uniti nei Paesi Bassi. Sembra di vivere nel cinquecento, quando l’istituzionalizzazione dei passaporti spostava carte con timbri e sigilli da un continente all’altro.

Da tempo il governo estone ha l’obiettivo della digitalizzazione totale dei servizi, in parte per emergere a livello globale, ma anche come strategia di sopravvivenza nel caso che la Russia insista con le sue manovre in Ucraina, spostandosi in un altro territorio che già una volta è stato sotto il controllo di Mosca.

Fatti il tuo visto

Taavi Kotka, il responsabile dei servizi informatici del governo estone, che li gestisce come un’azienda, non si è limitato ad avviare il programma: il gruppo che si occupava di e-residency si è comportato come farebbe oggi qualunque organizzazione legata alla tecnologia, invitando gli hacker a sperimentare nuove possibilità.

L’hackathon che si è tenuto in un fine settimana di metà settembre a Vormsi, un’isola nel mar Baltico, ha coinvolto più di 80 persone da 26 paesi diversi, che hanno prodotto dei prototipi di dieci servizi basati sull’identità digitale, nonché un paio di idee da sviluppare per il voto elettronico.

Le procedure tradizionali per ottenere i visti fanno passare la voglia di spostarsi da un paese all’altro

Il progetto che ha vinto, InstaVisa, promette di richiedere i visti attraverso una procedura simile alla registrazione su siti come Google, Facebook o Twitter. InstaVisa dovrebbe usare i dati di un’identità digitale estone per riempire i moduli necessari a entrare fisicamente nel paese.

Robert Norris, il fondatore di InstaVisa, mi ha spiegato che l’idea sviluppata dal suo gruppo è partita ponendosi alcune domande di fondo sulla rilevanza nel prossimo futuro delle convenzioni che usiamo per attraversare le frontiere: “Come saranno i visti tra dieci anni? Un timbro sul passaporto oppure solo una chiave criptata sul telefono? Avrà ancora senso andare all’ambasciata o al consolato?”.

Norris sostiene che le procedure tradizionali per ottenere i visti fanno quasi passare la voglia di spostarsi da un paese all’altro. “L’anno scorso, secondo le statistiche, quasi 17 milioni di persone hanno richiesto dei visti per entrare nell’area Schengen”, mi ha detto. “Quante persone sono dovute andare in consolati e ambasciate per dimostrare la loro identità? Molte ci vanno due volte, prima a far vedere passaporti e documenti, e poi per prendere i visti? Voglio creare una piattaforma che faccia per i visti ciò che le procedure di accesso su Google o Facebook hanno fatto per l’identificazione dell’utente. Sono convinto che possiamo rendere il mondo meno rigido, senza sacrificare la sicurezza”.

(Traduzione di Alessandro de Lachenal)

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su Quartz. Clicca qui per vedere l’originale. © 2015. Tutti i diritti riservati. Distribuito da Tribune Content Agency

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