20 luglio 2017 12:34

Per terra c’è un biglietto da cento dollari. Un economista cammina e non se ne cura. Un amico gli chiede: “Non hai visto i soldi?”. L’economista risponde: “Mi è sembrato di aver visto qualcosa, ma ho pensato di averlo immaginato. Se ci fosse stato un biglietto da cento dollari per terra qualcuno lo avrebbe raccolto”.

Se una cosa sembra troppo bella per essere vera, probabilmente non è vera. A volte, però, lo è. Michael Clemens, economista del Centre for global development, un centro studi sulla povertà di Washington, è convinto che ci siano “banconote da mille miliardi di dollari per terra” e che una politica apparentemente molto semplice potrebbe raddoppiare la ricchezza del mondo: aprire i confini delle nazioni.

I lavoratori sono molto più produttivi quando si spostano da un paese povero a uno ricco. Improvvisamente possono entrare in un mercato del lavoro con un grande capitale, aziende efficienti e un sistema legale non arbitrario. Le persone abituate a guadagnarsi da vivere zappando la terra cominciano a guidare i trattori. Quelli che fabbricavano mattoni di fango a mano cominciano a lavorare con gru e scavatrici. Quelli che sanno tagliare i capelli trovano clienti più ricchi che pagano meglio.

Esaminare l’ipotesi dell’apertura
“La manodopera è la risorsa più preziosa del mondo, eppure a causa delle regole sull’immigrazione gran parte di questa risorsa viene sprecata”, spiegano Bryan Caplan e Vipul Naik in A radical case for open borders (Una tesi radicale in favore dei confini aperti). I lavoratori messicani che emigrano negli Stati Uniti guadagnano in media il 150 per cento in più. I nigeriani non qualificati guadagnano il 1.000 per cento in più. “Costringere i nigeriani a restare in Nigeria è una scelta economicamente insensata come lo sarebbe costringere gli agricoltori a coltivare l’Antartide”, scrivono Caplan e Naik. Anche i benefici non economici sono evidenti. Negli Stati Uniti un nigeriano non può essere schiavizzato dagli islamisti di Boko haram.

I potenziali vantaggi dei confini aperti fanno impallidire quelli di un mercato libero e naturalmente anche quelli degli aiuti internazionali. Eppure l’idea viene generalmente considerata irrealizzabile. Nella maggior parte dei paesi del mondo la percentuale delle persone favorevoli non supera il 10 per cento. Nell’epoca della Brexit e di Donald Trump, proporla sarebbe un suicidio politico. Ciononostante vale la pena chiedersi cosa potrebbe accadere se i confini venissero effettivamente aperti.

Per chiarire, “confini aperti” significa che le persone sarebbero libere di spostarsi per cercare lavoro. Non significa “abolire i confini” o “abolire lo stato-nazione”. Al contrario, il motivo per cui la migrazione è così allettante è proprio che alcuni paesi sono gestiti nettamente meglio di altri.

Per abbandonare il proprio paese servono coraggio e resistenza

I lavoratori dei paesi ricchi guadagnano più di quelli dei paesi poveri perché sono più istruiti, ma soprattutto perché vivono all’interno di società che nel corso degli anni hanno sviluppato istituzioni che favoriscono la prosperità e la pace. È difficile replicare le istituzioni canadesi in Cambogia, ma è molto facile per una famiglia cambogiana trasferirsi in Canada. Il modo più rapido per eliminare la povertà assoluta sarebbe permettere alle persone di lasciare i luoghi dove questa povertà sopravvive. La loro povertà diventerebbe più visibile per i cittadini del mondo ricco – che vedrebbero molti più liberiani o bengalesi servire ai tavoli delle loro città – ma anche molto meno grave.

Quante persone deciderebbero di partire se i confini fossero aperti? L’istituto di sondaggi Gallup ha rilevato che 700 milioni di persone – il 14 per cento della popolazione mondiale – sceglierebbero l’emigrazione permanente se potessero, e un numero ancora maggiore sceglierebbe l’emigrazione temporanea. Circa 147 milioni di persone sceglierebbero di trasferirsi negli Stati Uniti, 35 milioni nel Regno Unito e 25 milioni in Arabia Saudita.

In realtà i numeri di Gallup potrebbero essere sovrastimati. Non sempre le persone fanno quello che dicono di voler fare. Per abbandonare il proprio paese servono coraggio e resistenza. I migranti devono dire addio ad amici e parenti, alle tradizioni familiari e alla cucina della nonna. Molti preferirebbero non fare questo sacrificio, anche rinunciando a una grossa ricompensa materiale.

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In Germania gli stipendi sono il doppio rispetto alla Grecia e in base alle regole dell’Unione europea i greci sono liberi di trasferirsi in Germania, ma solo in 150mila lo hanno fatto dall’inizio della crisi economica, su una popolazione di undici milioni di persone. A Francoforte il clima è orribile e nessuno parla greco. Disparità ancora maggiori, abbinate alla libertà di varcare i confini, non hanno portato ad alcun esodo. Dal 1986 i cittadini della Micronesia possono vivere e lavorare senza un visto negli Stati Uniti, dove il reddito pro capite è venti volte più alto rispetto al loro paese. Due terzi scelgono di restare in Micronesia.

Dipende dai percorsi
Nonostante queste precisazioni, però, è molto probabile che i confini aperti alimenterebbero un forte flusso di migranti. La differenza tra i paesi ricchi e quelli poveri al livello globale è molto più grande rispetto a quella tra i paesi ricchi e quelli poveri in Europa, e i paradisi nel Pacifico come la Micronesia non abbondano. Molti paesi poveri sono anche violenti o caratterizzati da governi oppressivi.

Inoltre la migrazione è, in linguaggio tecnico, “dipendente dai percorsi”. Comincia sempre al rallentatore: di solito la prima persona a spostarsi dal paese A al paese B arriva in un luogo dove nessuno parla la sua lingua o sa cucinare i noodles come si deve. Ma il secondo migrante – magari fratello o cugino del primo – avrà qualcuno che potrà fargli fare un giro e farlo ambientare un po’. Mentre si sparge la voce che il paese B è un bel posto in cui vivere, un numero sempre maggiore di persone parte dal paese A. Quando arriva, il millesimo migrante trova un intero quartiere di compatrioti.

In questo senso le cifre di Gallup potrebbero anche essere sottostimate. Oggi al mondo vivono 1,4 miliardi di persone nei paesi ricchi e sei miliardi nei paesi non ricchi. Non è difficile immaginare che nel giro di qualche decennio, un miliardo (almeno) di queste persone possa emigrare se non ci saranno ostacoli legali al movimento. Evidentemente una migrazione di questa portata trasformerebbe i paesi ricchi in un modo imprevedibile.

Una fiera del lavoro per rifugiati a Berlino, l’8 giugno 2017. (Sean Gallup, Getty Images)

Di solito gli elettori dei paesi di destinazione non si preoccupano troppo per un po’ di immigrazione, ma temono che l’apertura dei confini porterebbe “un’invasione di stranieri” che peggiorerebbe la loro vita e magari minaccerebbe il sistema politico che ha reso appetibile il loro paese. Hanno paura che la migrazione di massa porti un aumento dei crimini e del terrorismo, stipendi più bassi per i locali, un peso insostenibile per lo stato sociale, uno sconvolgente sovraffollamento ed effetti culturali nefasti.

Se un numero enorme di persone migra dalla Siria sconvolta dalla guerra, dal Guatemala in mano ai criminali o dall’instabile Congo, porta il caos nei paesi di destinazione? È un timore comprensibile (e naturalmente sfruttato dai politici contrari all’immigrazione) ma a sostenerlo ci sono soltanto congetture e prove aneddotiche. Certo, alcuni immigrati commettono reati e sconvolgenti atti di terrorismo. Ma negli Stati Uniti i figli degli stranieri hanno un quinto delle possibilità di essere incarcerati rispetto agli altri. In alcuni paesi europei come la Svezia, i migranti hanno più probabilità dei locali di finire nei guai, ma solo perché è più probabile che siano giovani e maschi. Uno studio dei flussi migratori condotto tra il 1970 e il 2000 su 145 paesi dai ricercatori dell’università di Warwick ha stabilito che l’immigrazione tende più a ridurre il terrorismo che ad aumentarlo, soprattutto perché la migrazione incoraggia la crescita economica.

L’immigrazione su larga scala peggiorerebbe la situazione economica dei paesi di arrivo? Finora non è successo. Rispetto agli autoctoni, gli immigrati portano più spesso idee nuove e avviano un’attività commerciale, in molti casi assumendo anche personale del posto. In generale i migranti hanno meno possibilità di attingere alle finanze pubbliche, a meno che le leggi locali non gli impediscano di lavorare, come accade ai profughi che chiedono asilo nel Regno Unito. Un forte afflusso di lavoratori stranieri potrebbe ridurre leggermente gli stipendi locali con qualifiche simili, ma la maggior parte degli immigrati presenta capacità diverse. I medici e gli ingegneri stranieri risolvono il problema della carenza di alcune qualifiche. I migranti non qualificati si occupano dei bambini e degli anziani, permettendo agli abitanti del luogo di svolgere mansioni più redditizie.

L’apertura dei confini provocherebbe un sovraffollamento? In città come Londra, probabilmente sì. Ma la maggior parte delle città occidentali potrebbe costruire più in verticale di quanto faccia adesso, creando più spazio. Inoltre la migrazione di massa renderebbe il mondo meno affollato in generale, dato che il tasso di natalità dei migranti si riduce rapidamente avvicinandosi molto più alla media del paese ospite che a quella del paese di origine.

L’immigrazione di massa cambierebbe la cultura e la politica dei paesi ricchi? Senza dubbio. Pensate a come gli Stati Uniti sono cambiati (in meglio) passando dai cinque milioni di abitanti in prevalenza bianchi del 1800 ai 320 milioni di oggi, con etnie e culture diverse. Questo, però, non dimostra che le future ondate migratorie sarebbero sicuramente benigne. I nuovi arrivati provenienti da paesi illiberali potrebbero portare con sé tradizioni indesiderate, come la corruzione politica o l’intolleranza verso i gay. Se arrivassero in numero consistente, potrebbero votare un governo islamista o uno che aumenti le tasse per gli abitanti del posto favorendo i nuovi arrivati.

Un pensiero creativo
È innegabile che esistono rischi concreti se l’apertura dei confini fosse immediata e non accompagnata dalle politiche necessarie per assorbire il flusso. Ma un po’ di pensiero creativo potrebbe mitigare quasi tutti i rischi e superare le obiezioni più comuni.

Se la preoccupazione è che gli immigrati possano sfruttare la possibilità di votare per imporre un governo non gradito agli abitanti locali, si potrebbe impedire agli immigrati di votare per cinque anni (o dieci, o addirittura per sempre). Potrebbe sembrare una presa di posizione dura, ma è comunque meglio che non lasciarli entrare. Se la preoccupazione è che i migranti del futuro non possano contribuire economicamente, perché non aumentare il prezzo del visto, o far pagare una tassa extra, o limitarne l’accesso allo stato sociale? Questi strumenti potrebbero essere usati per regolare il flusso di migranti, evitando ondate improvvise e sproporzionate.

Sembrano concetti terribilmente discriminatori, e lo sono. Ma per i migranti uno scenario simile sarebbe comunque meglio dello status quo in cui sono esclusi dal mercato del lavoro dei paesi ricchi a meno di pagare decine di migliaia di dollari ai trafficanti, per poi lavorare in nero e rischiare la deportazione. Oggi milioni di migranti lavorano nei paesi del golfo Persico, dove non hanno alcun diritto politico. Ciononostante continuano ad arrivare, nessuno li costringe.

“I confini aperti renderebbero gli stranieri molto più ricchi, di miliardi di dollari”, scrive Caplan. Un elettore consapevole, anche se disinteressato al benessere degli stranieri, non dovrebbe dire “e allora?”, ma “sul tavolo ci sono miliardi di dollari, cerchiamo di fare in modo che i miei concittadini possano accaparrarsene una fetta. I governi usano continuamente tasse e trasferimenti per ridistribuire le risorse dai giovani agli anziani e dai ricchi ai poveri. Perché non usare gli stessi strumenti politici per ridistribuirle dagli stranieri ai locali?”. Se un mondo caratterizzato dal libero movimento sarebbe più ricco di miliardi di dollari, i liberali dovrebbero essere pronti ad accettare grandi compromessi politici pur di realizzarlo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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Perché l’Europa ha bisogno di più migranti, The Economist
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Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale britannico The Economist.

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