30 luglio 2013 10:35

La prima cosa che colpisce passeggiando per Bogotá – a parte il freddo, il vento e la pioggia inaspettati, e a parte l’aria rarefatta che immediatamente ti ricorda che sei a più di 2.500 metri d’altitudine – è il gran numero di edifici malmessi o completamente abbandonati nel centro della città. Nella prima foto, uno dei pochi edifici antichi rimasti su Carrera 7, la più importante arteria della città dal punto di vista storico, economico e culturale. Non è raro vedere palazzi come questo, con finestre rotte e facciate che cadono a pezzi.

Sempre sulla stessa strada, capita di vedere palazzi come questo (la sede di un ente del comune che si occupa dello sviluppo urbano), pieni di chiazze colorate. Sono i segni più evidenti delle proteste messe in atto qualche tempo fa dagli studenti della città, che manifestavano contro una riforma dell’istruzione, che a quanto ho potuto capire mirava a privatizzare una parte del sistema educativo. Qualcosa di simile alle misure contestate duramente dagli studenti cileni negli ultimi due anni.

Anche la facciata della Catedral Primada, la più grande e importante chiesa della città, ha subito lo stesso trattamento, anche se in misura minore. Oltre a dimostrare un’indignazione recente, quelle macchie colorate su edifici simbolo del potere politico stanno anche lì a ricordare una tradizione di conflitti politici lunghi, intensi e violentissimi.

A pochi passi dagli edifici macchiati, sempre sulla Carrera 7, c’è infatti il luogo dove, il 9 aprile del 1948, venne ucciso Jorge Eliécer Gaitán, candidato del Partito liberale alla presidenza nelle elezioni del 1950. Quest’uomo con bandiera e bicicletta tricolore riproduce con un altoparlante i vecchi discorsi del politico. L’omicidio di Gaitán causò l’esplosione di proteste, disordini e repressioni nel centro della città, un periodo conosciuto come “Bogotazo”. Secondo molti, la morte di Gaitán fu anche il punto d’inizio del periodo storico conosciuto come “La Violencia”, in sostanza una guerra civile tra liberali e conservatori, durante la quale vennero uccise almeno duecentomila persone in dieci anni.

Tra la Carrera 7 e la Avenida Jiménez c’è il più importante punto di compravendita di smeraldi della città. La Colombia è il più grande esportatore di smeraldi del mondo. Come per l’oro e i diamanti, il commercio di queste pietre si sostiene anche grazie allo sfruttamento delle terre e delle risorse umane che si trovano nelle regioni più povere e arretrate del paese. In ogni caso, in questo luogo è normale vedere a qualsiasi ora del giorno venditori e compratori contrattare sul prezzo di piccole pietre verdi, che trasportano in sottili bustine di carta.

Una partita a scacchi sulla Carrera 7. Sorprendentemente, uno dei passatempi preferiti dai colombiani sono gli scacchi. Un amico colombiano mi ha raccontato che negli anni ottanta uno dei principali finanziatori di tornei di scacchi nel paese era il Cartello di Cali, il cui capo, Gilberto Rodríguez Orejuela, era soprannomininato “El Ajedrecista” (lo scacchista), per la capacità di stare una mossa davanti ai nemici e alla polizia ma anche, a quanto pare, per la sua passione per il gioco.

Un cafè in una zona centrale della città.

Un tratto della Carrera 18, una strada dove non sarei dovuto andare ma dove sono finito cercando il Centro de memoria paz y reconciliación.

Una calle deserta dalle parti della Carrera 18. (Ah, qui le strade si dividono in carreras – da nord a sud – e calles – da est a ovest. Un sistema che dovrebbe aiutare a sapere più o meno sempre dove ci si trova e a raggiungere facilmente la destinazione voluta, un po’ come succede a New York. Peccato che, a differenza di quella di New York, la pianta di Bogotá non sia un reticolato perfetto, al contrario l’inclinazione delle strade cambia di continuo, quindi non è così difficile perdere l’orientamento. Il fatto che molte delle persone a cui ho chiesto indicazioni per arrivare al Centro si siano perse in ragionamenti farneticanti su calles, carreras, est, ovest e numeri civici mi ha scoraggiato e al tempo stesso confortato).

Sempre nella stessa zona, un incrocio con cumuli di detriti ai quattro angoli.

Case in rovina e operai al lavoro, sulla stessa strada.

Un monumento dedicato alle vittime del conflitto armato in Colombia, presso il Centro de memoria paz y reconciliación. Il centro era chiuso alle visite perché non è stato ancora completato. Mossa a compassione e sorpresa dall’ostinato interesse di uno straniero per la storia colombiana, una gentilissima volontaria del centro ha improvvistato una veloce visita guidata, invitandomi pure a partecipare ai tanti eventi in cantiere.

Un cinema porno sulla Carrera 7.

Una strada nella zona alta della Candelaria, il quartiere coloniale di Bogotá. È il luogo piú turistico della città – e il più curato e pulito. Strade di ciottoli salgono verso le pendici delle montagne che sormontano la capitale.

Un incrocio poco fuori dalla Candelaria. In alto, sulla cima del colle di Monserrate (3150 metri), si vede la basilica del Señor de Monserrate, dove si arriva con una funicolare.

La Calle 26, nel barrio della Macarena, la zona dove alloggio. La Macarena è un po’ il quartiere del momento, depresso e dimenticato fino a non molti anni fa, in seguito rivitalizzato e diventato posto alla moda soprattutto grazie all’arrivo di hipster, artistoidi e quant’altro (non sempre graditi alla popolazione “indigena”), un po’ come è successo a Williamsburg, a Brooklyn, o alla Zona Rosa, a Città del Messico.

Vista del quartiere La Perseverancia, che si trova a pochi passi dalla Macarena ma che a quanto ho capito è decisamente meno accogliente e vivibile.

Alessio Marchionna lavora a Internazionale dal 2009. Editor delle pagine delle inchieste, dei ritratti e dell’oroscopo. È su twitter: @alessiomarchio

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it