22 dicembre 2005 00:00

Il cibo è rimasto nel frigorifero per due anni e mezzo. Sono di nuovo a Glasgow, nel mio appartamento. Tutto è esattamente come l’ho lasciato quando sono partito per la Svezia, nell’estate del 2003, per registrare il nostro primo disco. Un pacco di foglie di vite, un barattolo di salsa piccante, qualcosa che sembra sugo d’arrosto e un cartone di succo d’arancia. È tutto ancora lì. Ma stasera vado a mangiare fuori. Di nuovo.

Prendo un taxi fino ad Argyll street, una strada senza uscita nel quartiere di Finnieston. Appartamenti che sembrano dei casermoni si stagliano nella pioggerellina. La sagoma della città è dominata dal ponte di Kingston, tutto coperto da impalcature. Sto andando a cena nel più antico e nobile ristorante della città.

Il Buttery è stato costruito verso la metà dell’ottocento. In origine era la cantina di un mercante di vini, ma nei cento anni successivi si è ampliato, diventando famoso per il suo ottimo cibo. Intorno al 1960, Glasgow è stata squarciata dagli urbanisti: i palazzi popolari di Finnieston sono stati rasi al suolo. L’unico edificio rimasto in piedi era il Buttery.

A quanto pare gli architetti che stavano massacrando la città non volevano perdere il loro locale preferito. Ma una targa massonica davanti all’entrata potrebbe spiegare in un altro modo la sua sopravvivenza. Sono a cena con un’amica che mi mette al corrente di sei mesi di pettegolezzi e mi dice sottovoce che si sente a disagio, in quanto socialista, a mangiare in un posto come questo.

Poi viene distratta da una bottiglia di vino rosso corposo e ci rilassiamo nelle nostre poltroncine imbottite. Come tutti i migliori menù in Scozia, quello del Buttery è una entente cordiale tra la cucina francese e quella scozzese: lombata di agnello dell’Ayrshire con verdure alla provenzale.

Conserva affumicata di gallina francese con haggis speziato (frattaglie di pecora bollite nello stomaco dell’animale), il capo-clan di tutti gli sformati di carne, malignato con immeritata onta. Adoro questa sacca piena di pezzetti di pecora e fiocchi d’avena. In un’era in cui le salsicce sono diventate un cibo da gourmet e in cui la filosofia gastronomica raccomanda di mangiare tutto, dalla testa alla coda, l’haggis merita un posto più illustre nei nostri canoni culinari.

Pere affogate e gelato al whisky concludono uno dei migliori pasti di cui ho goduto in centomila chilometri di viaggi. Sono veramente felice che gli architetti massonici abbiano risparmiato il Buttery, salvandomi dal mio misero frigorifero.

*Internazionale, numero 622, 22 dicembre 2005**

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