02 marzo 2015 12:40

“Quali sono le prospettive?”. È una domanda che ci facciamo spesso a proposito di una scelta da fare, un’attività da intraprendere o una situazione da valutare. Quali sono le prospettive dell’economia? Del settore immobiliare? Del mercato del lavoro? Del progetto che sto avviando? Non è un interrogativo sbagliato da porsi ma, forse, è una domanda parziale.

“Prospettiva”, scrive Luca De Biase, è “una parola magnifica, che unisce il senso dello spazio e quello del tempo”. E, unendoli, ci aiuta a collocarci in un punto preciso e a valutare quanto, dal punto in cui siamo, possiamo osservare o immaginare di un fenomeno o un progetto e della sua possibile evoluzione, compresi i rischi e le opportunità.

È un bell’esercizio mentale e può produrre risultati illuminati. Però contiene, potenzialmente, una trappola: nel momento in cui consideriamo le cose in una singola prospettiva – la nostra – potremmo dare per scontato che il nostro punto di osservazione sia l’unico (o il migliore) possibile. E che ci permetta di avere una visione globale ed esauriente.

Uno storico (risale al 1986) e indimenticabile spot del Guardian, intitolato Points of view, riesce a mostrare in soli trenta secondi che non sempre è così.

L’altro pregiudizio è che la prospettiva che assumiamo sia, nello spazio e nel tempo, stabile e permanente. Ovviamente non è mai così.

Dunque, per completare la domanda da cui siamo partiti dovremmo chiederci anche “qual è il punto di vista dal quale osservo e valuto questa prospettiva”. Quanto cambiano la mia percezione delle cose e la mia valutazione se provo a mutare punto di vista?

Saper cambiare prospettiva modificando intenzionalmente il punto di vista è uno strumento di creatività: aiuta a scoprire le soluzioni, le aree di rischio e gli eventi emergenti che stanno nascosti dietro gli angoli o nei punti ciechi.

Possiamo farlo in molte maniere: per esempio, mettendoci nel panni di qualcun altro. Magari in quelli di uno scienziato extraterrestre, che osserva da una distanza e un’angolatura diverse e senza alcun pregiudizio quanto noi stiamo osservando.

Se la soluzione extraterrestre vi piace, questo video, che in sei minuti vi porta ai confini dell’universo e ritorno, potrebbe aiutarvi a farla vostra.

Altrimenti, possiamo metterci nei panni di noi stessi tra sei mesi, o tra dieci anni, ricordando che uno studio intitolato Projection bias in predicting future utility, e ampiamente citato, dimostra che tutti noi tendiamo a sovrastimare la costanza dei nostri gusti e delle nostre propensioni nel tempo e a sottostimare sia i loro possibili cambiamenti, sia l’influenza dei più che possibili cambiamenti di contesto.

Un terzo modo per disporsi a sperimentare punti di vista diversi è dedicare qualche minuto alla divertente Ted conference di Rory Sutherland che, attraverso una serie di esempi, mostra quanto la nostra percezione delle cose dipenda proprio dai contesti all’interno dei quali siamo abituati a osservarle. “Le cose non sono quel che sono, ma quel che noi pensiamo siano”, dice Sutherland. Naturalmente, se cambiamo punto di vista si modificano anche i contesti di riferimento e le cose “diventano” diverse.

Infine: chi dovrebbe imparare a cambiare punto di vista? Sutherland sostiene che dovrebbero farlo, in primo luogo, gli economisti. Un costo è un costo, ma la sua percezione varia in maniera sostanziale secondo il modo in cui quel costo è giustificato.

E non sempre le soluzioni più onerose o più complicate sono quelle che generano maggior valore percepito, così come non sempre le opzioni più ovvie e razionali si dimostrano, nei fatti, più efficaci. Qualche volta, suggerisce Sutherland, la cosa giusta da fare se ne sta laggiù, nascosta dietro l’angolo. Qualche volta è li, davanti al nostro naso, ma dobbiamo definirla diversamente per esaminarla in una prospettiva differente.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it