14 dicembre 2015 13:28

Viviamo immersi in una complessità che può apparirci, secondo i casi, disorientante, oppure onerosa, o minacciosa.

Perfino alcune cose che in teoria dovrebbero semplificarci la vita (per esempio, la diffusione delle tecnologie, la possibilità di muoversi rapidamente da un capo all’altro del mondo o la disponibilità costante di un gran numero di informazioni) in realtà ci mettono di fronte a una quantità di variabili che creano ansia perché sono difficili da capire, correlare e valutare e, di conseguenza, da gestire.

Per questo la semplicità ci appare oggi più preziosa e desiderabile che mai.

Ma la ricerca della semplicità è tutt’altro che una passeggiata: c’è un mucchio di ostacoli, lì in mezzo.

Gli ostacoli alla semplicità

Il primo ostacolo è che per rendere semplice ciò che è complesso bisogna prima averlo studiato e capito bene. E poi bisogna trovare il modo per spiegarlo. Questo significa prendersi delle responsabilità, perché essere semplici vuol dire anche scegliere tra ciò che è davvero importante e ciò che non lo è.

E ancora, “tutto dovrebbe essere reso il più semplice possibile”, dice Albert Einstein, che però subito dopo aggiunge “ma non più semplice di così”. Insomma: a un certo punto il processo di semplificazione deve fermarsi.

Dunque, coltivare la semplicità chiede non solo pazienza, dedizione, competenza, una dose di umiltà e un talento raro, ma anche il coraggio di affrontare una sfida faticosa, e la consapevolezza dei limiti.

La semplicità c’entra con il sapersi orientare e lo stabilire punti cospicui, con il tracciare mappe

E allora può venir voglia di trovare un’altra strada, più confortevole, per districarsi nella foresta della complessità delle faccende umane contemporanee.

Immaginatela.

Proprio all’inizio c’è una freccia grossa e colorata. Sopra c’è scritta una singola parola che comincia con semplic…

Il cartello del semplicismo

Uno pensa: evviva! Allora esiste il percorso davvero semplice. E la strada appare da subito dritta, facile e priva di ostacoli: l’ha appena spianata un tizio deciso, con la ruspa. Si vedono ancora i segni per terra, si sente ancora l’odore del gasolio. Ma chi corre entusiasta verso quella strada va così in fretta da non accorgersi nemmeno che sul cartello quell’inizio di parola non è (e non può essere) quella di semplicità.

La semplicità c’entra poco con le ruspe. Piuttosto: con lo sgrovigliare gomitoli ingarbugliati. O, per restare nella metafora della foresta, la semplicità c’entra con il sapersi orientare e lo stabilire punti cospicui, con il tracciare mappe e il riconoscere limiti invalicabili e sentieri e passaggi magari ardui, ma possibili.

Tutto questo si chiama, fuor di metafora, pensiero critico. E l’esercizio costante del pensiero critico applicato al governo delle intricate faccende umane dovrebbe esprimersi nell’attività che chiamiamo “politica”.

Sul cartello in cima al percorso facile e dritto c’è invece scritto semplicismo.

L’aggrovigliata foresta delle faccende umane non finisce mai

Ecco: in parole povere, il semplicismo è la complessità delle faccende umane spianata con la ruspa. C’è un ostacolo? Di qualsiasi cosa si tratti, finché si può ci si passa sopra ignorandolo, e se è troppo grosso lo si tira via: un colpo di lama, ed è subito nel cassone.

Qualche volta l’ostacolo è vivo e si lamenta, ma quel suono sgradevole è subito coperto dal baccano della ruspa. E se l’ostacolo è bestialmente grosso e continua a starsene lì a rompere le scatole a chi (per Giove!) ha fretta, gli si spara, lo si bombarda, insomma: lo si elimina in qualche maniera.

Il guaio è che l’aggrovigliata foresta delle faccende umane non finisce mai, e anzi si infittisce con il passare del tempo, giorno dopo giorno. In fondo al percorso della ruspa non c’è un bel niente, a parte un intrico ancora maggiore, irto di ostacoli ancora più grossi.

Ma, a questo punto, il danno è fatto, i sentieri sono spariti nel fango e ci si ritrova nelle condizioni di partenza. Però sporchi, stanchi, inzaccherati, senza aver imparato a orientarsi e, ormai, privi di strade alternative e di mappe con i limiti invalicabili e i punti cospicui ben segnati.

Qualche tempo fa, su La Stampa, Mario Deaglio ha definito il semplicismo una “malattia italiana”. Ma già nel 1895 Gustave Le Bon, in Psicologia delle folle, ha scritto: “In tutti i partiti, specialmente nei popoli latini, si riscontra una tendenza invariabile a risolvere i più complicati problemi sociali coi più semplici principii astratti”.

Bene: ho la sensazione che oggi, dagli Stati Uniti all’Europa al nostro paese, un’agguerrita squadra di ruspisti si proponga, con preoccupante successo di pubblico, di guidarci nel groviglio del mondo seguendo la logica della ruspa. Che sì, sembra qualcosa di assai concreto, ma è un principio astratto a sua volta, perché nel mondo c’è un sacco di roba che neanche una ruspa alta come un grattacielo può spianare.

Prima di seguire i ruspisti ricordiamoci di dare un’occhiata ai cartelli, almeno. E, magari, studiamo se c’è qualche sentiero alternativo.

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