13 febbraio 2003 17:31

Per capire come affrontare “l’Impero”, dobbiamo prima stabilire cos’è l’Impero. È il governo statunitense (e i suoi satelliti europei), la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, l’Organizzazione mondiale del commercio e le multinazionali? Oppure è qualcosa di più? In molti paesi l’Impero ha generato sottoprodotti pericolosi: il nazionalismo, il fanatismo religioso, il fascismo e, naturalmente, il terrorismo.

Sono tutte cose che marciano fianco a fianco con il progetto di globalizzazione delle grandi multinazionali. E in questo l’India – la più popolosa democrazia del mondo – è all’avanguardia. L’Organizzazione mondiale del commercio sta forzando il suo “mercato” di un miliardo di persone. Il governo e l’élite indiana hanno accolto a braccia aperte le privatizzazioni. Non è una coincidenza che il primo ministro, il ministro dell’interno, il ministro delle privatizzazioni – gli uomini che hanno firmato l’accordo con la Enron in India, che stanno vendendo le infrastrutture del paese alle multinazionali, che vogliono privatizzare l’acqua, il petrolio, il carbone, l’acciaio, la sanità, l’istruzione e le telecomunicazioni – siano tutti membri o sostenitori del Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), una corporazione indù ultranazionalista di destra che ha apertamente dichiarato di ammirare Hitler e i suoi metodi.

Lo smantellamento della democrazia procede rapido ed efficiente come un programma di ristrutturazione aziendale.

Mentre il progetto di globalizzazione liberista dilania la vita degli indiani, la privatizzazione sistematica e le “riforme” del lavoro tolgono alle persone la loro terra e la loro occupazione. Centinaia di agricoltori impoveriti si suicidano ingerendo pesticidi. Da tutto il paese arrivano notizie di morti per fame.

Mentre l’élite viaggia verso la sua immaginaria destinazione vicino alla cima del mondo, gli emarginati sprofondano in una spirale di crimine e caos. Questo clima di frustrazione e disillusione nazionale, come ci insegna la storia, è il brodo di coltura ideale del fascismo.

Il governo indiano ha messo a punto una perfetta azione a tenaglia. Da un lato è impegnato a vendere l’India a pezzi, dall’altro distrae le persone orchestrando un coro urlante e rabbioso di nazionalismo indù e fascismo religioso. Effettua test nucleari, riscrive i libri di storia, brucia chiese e demolisce moschee. La censura, la sorveglianza, la sospensione delle libertà civili e dei diritti umani, la definizione di chi è cittadino indiano e chi non lo è, soprattutto per quanto riguarda le minoranze religiose, stanno diventando prassi comune. Nel marzo scorso, nello stato del Gujarat duemila musulmani sono stati massacrati in un pogrom promosso dallo stato. Le donne musulmane sono state particolarmente prese di mira. Le hanno spogliate e stuprate in massa prima di bruciarle vive. Gli incendiari hanno saccheggiato e messo a fuoco negozi, case, fabbriche tessili e moschee. Oltre 150mila musulmani sono stati cacciati dalle loro case. La base economica della comunità musulmana è stata devastata.

Il Saddam del Gujarat

Mentre il Gujarat bruciava, il premier indiano appariva su Mtv per pubblicizzare le sue nuove poesie. Nel dicembre dell’anno scorso, il governo che ha orchestrato la strage è stato rieletto con un’ampia maggioranza. Nessuno è stato punito per il genocidio. Narendra Modi, l’architetto del pogrom, membro orgoglioso dell’Rss, ha cominciato il suo secondo mandato come primo ministro del Gujarat. Se fosse Saddam Hussein, ogni sua atrocità apparirebbe sulla Cnn. Ma visto che non lo è – e visto che il “mercato” indiano è aperto agli investitori globali – il massacro non è neppure un incidente imbarazzante. Ci sono più di cento milioni di musulmani in India. Una bomba a orologeria diffonde il suo ticchettio nella nostra antica terra.

È un mito che il libero mercato abbatta le barriere nazionali. Il libero mercato non minaccia la sovranità nazionale, mina la democrazia. Mentre il divario fra ricchi e poveri aumenta, la lotta per accaparrarsi le risorse si sta intensificando. Per scambiarsi le loro “promesse d’amore”, per mercificare quello che coltiviamo, l’acqua che beviamo, l’aria che respiriamo e i sogni che sogniamo, la globalizzazione liberista ha bisogno di una confederazione internazionale di governi fedeli, corrotti e autoritari che sappiano attuare riforme impopolari e soffocare le rivolte nei paesi più poveri.

La globalizzazione liberista – chiamiamola con il suo nome: l’imperialismo – ha bisogno di una stampa che finga di essere libera, di tribunali che fingano di amministrare la giustizia. Nel frattempo, i paesi del nord sbarrano le loro frontiere e ammassano armi di distruzione di massa. Dopo tutto devono accertarsi che siano solo i soldi, le merci, i brevetti e i servizi a essere globalizzati. Non la libera circolazione degli individui, il rispetto dei diritti umani, i trattati internazionali sulla discriminazione razziale, sulle armi chimiche e nucleari, sulle emissioni di gas serra, sui cambiamenti climatici o – dio non voglia – sulla giustizia. Questo – tutto questo – è l’Impero. Questa oscena accumulazione di potere, questo divario enorme fra chi prende le decisioni e chi deve subirle.

Resistenza positiva

La visione di un mondo diverso deve puntare a eliminare questo divario. La nota positiva è che non va troppo male. Ci sono state importanti vittorie. In America Latina ce ne sono state tante. Il mondo guarda al popolo dell’Argentina, che sta cercando di far risorgere il suo paese dalle ceneri della devastazione scatenata dall’Fmi. In India il movimento contro la globalizzazione liberista sta acquistando forza e si prepara a diventare l’unica forza politica reale in grado di contrastare il fascismo religioso.

Eppure sappiamo che sotto l’ampio mantello della “guerra al terrorismo” gli uomini in giacca e cravatta stanno lavorando sodo. Mentre i missili da crociera solcano i cieli, sappiamo che vengono firmati contratti, registrati brevetti, costruiti oleodotti, saccheggiate risorse naturali, sappiamo che viene privatizzata l’acqua e che George W. Bush sta progettando di muovere guerra all’Iraq. Se guardiamo a questo conflitto come a un confronto diretto, ai ferri corti, fra l’Impero e quelli di noi che gli oppongono resistenza, potremmo avere la sensazione di essere sconfitti. Ma possiamo vederla in un altro modo. L’Impero è in piedi sul palcoscenico del mondo in tutta la sua brutale e malvagia nudità.

L’Impero può sicuramente entrare in guerra, ma ora è sotto gli occhi di tutti – troppo mostruoso per tollerare il proprio riflesso. Troppo mostruoso persino per chiamare a raccolta la sua gente. Non ci vorrà molto tempo perché la maggioranza degli americani diventino nostri alleati. Centinaia di migliaia persone hanno già manifestato contro la guerra in Iraq. La protesta diventa ogni mese più forte. Oggi sappiamo che ogni argomento a cui si fa ricorso per l’escalation della guerra all’Iraq è una menzogna. E la più ridicola è quella dell’impegno per portare la democrazia in Iraq. Uccidere le persone per salvarle dalla dittatura o dalla corruzione ideologica è, ovviamente, un vecchio gioco del governo americano.

Nessuno dubita che Saddam Hussein sia un dittatore spietato, un assassino (i cui peggiori eccessi furono approvati dai governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna). Non c’è dubbio che gli iracheni starebbero molto meglio senza di lui. Ma se è per questo, tutto il mondo starebbe molto meglio senza un certo signor Bush. E allora, dovremmo bombardare Bush per cacciarlo dalla Casa Bianca? È più che evidente che Bush è deciso a muovere guerra all’Iraq, indipendentemente dai fatti e dall’opinione pubblica internazionale. Nella ricerca di alleati, gli Stati Uniti sono disposti anche a inventarli, i fatti. La nuova guerra contro l’Iraq è già cominciata.

Che fare?

Ma noi possiamo impegnarci per far diventare l’opinione pubblica un ruggito assordante. Possiamo trasformare la guerra all’Iraq in una dimostrazione degli eccessi del governo americano. Possiamo accusare George W. Bush e Tony Blair – e i loro alleati – di essere vili massacratori di bambini, avvelenatori d’acqua e vigliacchi guerrafondai. Possiamo reinventare la disubbidienza civile in un milione di modi diversi. Insomma, possiamo trovare un milione di modi per diventare una rottura di scatole collettiva.

Quando George W. Bush dice: “O siete con noi o siete con i terroristi”, noi possiamo rispondere: “No, grazie”. Gli abitanti del mondo non hanno bisogno di scegliere fra Topolino Maligno e i Mullah Impazziti. La nostra strategia dovrebbe essere non solo affrontare l’Impero, ma stringerlo d’assedio. Togliergli l’ossigeno. La rivoluzione delle aziende fallirà se ci rifiutiamo di comprare quello che vendono – le loro idee, la loro versione della storia, le loro guerre, le loro armi, il loro concetto di inevitabilità.

Noi siamo tanti e loro sono pochi. Hanno più bisogno loro di noi che noi di loro.

Traduzione di Gigi Cavallo

Internazionale, numero 475, 13 febbraio 2003

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