19 giugno 2013 07:00

Ormai sta diventando un’abitudine. Non passa un anno, qualche mese, qualche settimana e persino qualche giorno senza che nel mondo esplodano improvvisamente movimenti giovani e urbani che sembrano non avere nulla in comune tra loro.

Ieri è toccato alla Turchia, oggi al Brasile. Prima ancora ci sono state le rivoluzioni arabe, la primavera degli aceri in Québec, le manifestazioni contro la disuguaglianza in Israele, i cortei russi contro i brogli elettorali, il movimento degli indignati nelle città occidentali e le rivoluzioni nelle ex repubbliche sovietiche, ciascuna caratterizzata dal suo colore.

La causa delle proteste è sempre differente, e il contesto storico, economico, sociale e culturale è radicalmente diverso. La disoccupazione dei giovani arabi non esiste in Turchia. La democrazia canadese è irreprensibile, mentre in Russia è inesistente. L’economia brasiliana è in piena ascesa (nonostante il recente rallentamento), mentre quelle europee sono alla ricerca di un rilancio.

I movimenti hanno un’origine diversa, ma si somigliano tutti. Nessuno presenta un gruppo di leader né riferimenti ideologici chiari. Sono sempre stati spontanei, senza partiti o organizzazioni che li abbiano alimentati o che abbiano parlato per loro. Si sono formati tutti nei meandri della comunicazione contemporanea, sui social network, attraverso gli sms, le mail e i tweet. A protestare sono sempre i giovani, appartenenti soprattutto al settore terziario e che attingono letture, cultura, informazioni e formazione dalla grande cassa di risonanza mondiale di internet.

Un po’ ovunque si sta affermando una nuova generazione che non si limita a sostituire la precedente, ma rappresenta un fenomeno nuovo perché nasce (come accaduto con il proletariato nell’ottocento) da una rivoluzione tecnologica che sta rimodellando il mondo sotto i nostri occhi. La rivoluzione industriale ha creato un movimento operaio capace di modificare profondamente il paesaggio politico mondiale, e oggi le nuove tecnologie sembrano sulla buona strada per ripetere quell’esperienza, anche se è ancora troppo presto per esserne certi.

Non è tutto. I contesti nazionali dei movimenti sono diversi tra loro, ma lo sfondo è sempre lo stesso: lo stravolgimento della scena internazionale. Questi movimenti così nuovi irrompono in un mondo altrettanto nuovo, in cui la guerra fredda non è stata sostituita da un diverso equilibrio internazionale e il monopolio tecnologico, economico e culturale dell’occidente è sotto attacco. Le grandi forze politiche del passato si stanno sgretolando inesorabilmente senza che ci sia un ricambio, e la caratteristica principale di questo nuovo mondo è il vuoto politico. Ma la politica ha da sempre terrore del vuoto, e probabilmente i movimenti lo stanno colmando senza nemmeno accorgersene.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it