27 agosto 2013 10:46

Quello che era molto possibile in questo fine settimana è diventato adesso molto probabile. Le dichiarazioni di responsabili occidentali che lasciano intravedere una risposta militare all’utilizzo di armi chimiche da parte del regime siriano continuano a moltiplicarsi a Londra, Parigi e Washington. Da lunedì alti responsabili militari di paesi occidentali e musulmani, tra cui il capo di stato maggiore statunitense, il generale Dempsey, sono riuniti ad Amman, la capitale giordana, per discutere dei “possibili scenari dopo i pericolosi sviluppi in Siria”.

La situazione si precisa, mentre la Russia protesta già contro “l’evidente violazione del diritto internazionale” che rappresenterebbe questa risposta e mette in guardia contro le “gravi conseguenze” che potrebbe avere questo gesto. Fedele sostenitore del governo siriano dall’inizio dell’insurrezione, la Russia rimane al suo fianco. Ma perché lo fa, visto che non ha nulla da guadagnare né presso le popolazioni arabe che simpatizzano per i ribelli né presso i governi che (con l’eccezione dell’Iraq a maggioranza sciita) sono tutti ostili al regime di Bashar al Assad? Un regime che è ormai l’unico alleato dell’Iran sciita e persiano in una regione per lo più sunnita e araba.

In termini di interessi nazionali questa scelta della Russia rimane inspiegabile. La Russia sembra andare contro i propri interessi. Molti dei suoi diplomatici ne sono consapevoli, ma Vladimir Putin non desiste per due ragioni.

La prima è l’ossessione del presidente russo per gli islamisti. Infatti molti cittadini della Federazione russa sono musulmani, in particolare nel Caucaso, e Putin non fa alcuna differenza fra islamisti e jihadisti, vede nell’islam un problema di sicurezza per il suo paese e quindi preferisce dei musulmani oppressi da una dittatura piuttosto che liberi di scegliere il loro destino.

Questo è uno dei numerosi punti in comune con i movimenti di estrema destra europea, ma la seconda ragione della politica siriana di Putin è che secondo lui le rivoluzioni arabe sono delle operazioni organizzate dagli Stati Uniti e dai loro servizi segreti, che avrebbero cominciato a sostituire dei regimi amici ma logori e impopolari con nuove équipe di governo più fedeli.

Lui stesso ex spia e abituato a un’interpretazione poliziesca della storia, Putin non vuole questo cambiamento di governo in Siria perché teme di essere lui il prossimo sulla lista della Cia, che vorrebbe farlo cadere – ne è certo – attraverso il sostegno e il finanziamento di quei movimenti di opposizione russi che nell’ultimo anno ha cominciato a combattere metodicamente. Con una tale visione della sicurezza russa e personale, ci sono poche possibilità che il signore del Cremlino cambi posizione sulla politica siriana, peraltro così contraria agli interessi nazionali del suo paese. In altre parole la Russia non dichiarerà una guerra a causa della risposta internazionale in Siria. Ma le sue relazioni con gli occidentali, già pessime, non miglioreranno di certo.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it