L’Egitto sta ripiombando nella dittatura militare. Tre anni dopo la rivoluzione, il paese più importante del mondo arabo torna agli attacchi contro la stampa e agli arresti di massa, in attesa del prossimo presidente maresciallo.

Giovedì il ministro dell’interno ha annunciato di disporre “dei mezzi tecnologici più moderni” per controllare i social network. Nel mirino delle autorità ci sono ormai tutti contestatori, dai Fratelli musulmani ai giovani democratici che nel 2011 hanno rovesciato Hosni Mubarak ispirati dalla rivoluzione tunisina. Mercoledì venti giornalisti di Al Jazeera, 16 egiziani e quattro europei, sono stati formalmente accusati di “terrorismo” per aver “diffuso notizie false”. Per non parlare dei quattro processi intentati contro Mohamed Morsi, il presidente islamista destituito a luglio dall’esercito dopo essere diventato l’unico capo di stato democraticamente eletto in Egitto.

Il paragone con quanto sta accadendo in Tunisia è sconfortante. Mentre i laici e gli islamisti tunisini hanno saputo trovare un compromesso che ha permesso l’adozione di una nuova costituzione democratica e ha spinto il paese verso elezioni libere, l’Egitto fa un passo indietro sotto l’egida di un generale promosso maresciallo, Abdel Fattah al Sisi. Il 27 gennaio lo stato maggiore ha invitato Al Sisi a “cedere alle richieste del popolo” e a candidarsi alle presidenziali, che ha ogni probabilità di vincere.

Come si spiega una simile differenza tra Egitto e Tunisia? Prima di tutto con il fatto che in Tunisia l’esercito rispetta il potere politico, mentre in Egitto costituisce da tempo uno stato nello stato. Davanti alla forza delle manifestazioni del 2011 l’esercito egiziano si era defilato, dedicandosi al sabotaggio costante ma discreto del processo di democratizzazione, ancor più difficile rispetto a quello tunisino.

I militari egiziani hanno fatto di tutto per spaventare e mandare in confusione i Fratelli musulmani, usciti vittoriosi dalle urne ma assolutamente impreparati a governare. Con le loro mosse brutali e maldestre i Fratelli musulmani hanno rapidamente perso la fiducia degli egiziani, e mentre la popolazione si rivoltava contro di loro i generali hanno ripreso in mano le redini del paese tra gli applausi della maggioranza.

Quello dell’esercito è stato un colpo di stato popolare, perché l’Egitto era ormai terrorizzato dalla forza politica a cui aveva concesso il potere credendo che fosse diventata democratica quando in realtà era ancora troppo immatura. Così al Cairo svanisce ogni speranza di libertà. L’esercito ha imparato dagli errori del 2011 e non ha intenzione di lasciarsi sorprendere ancora, ma dovrà comunque rimettere in piedi l’economia e ridurre la disoccupazione prima che prenda forma una rivoluzione che è già in stato embrionale, perché nonostante tutto l’Egitto (come il resto del mondo arabo) ha scoperto il gusto della libertà.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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