28 ottobre 2015 09:03

In Polonia non esiste più una sinistra. Certo, nel paese vivono ancora persone di sinistra, ma sono così poche che i risultati ufficiali delle elezioni di domenica hanno confermato che in parlamento non ci sarà nemmeno un loro rappresentante.

Il fenomeno è tanto più stupefacente se consideriamo che tutti i grandi personaggi della dissidenza polacca, visionari eroici che avevano fatto la storia, provenivano dalla sinistra, per quanto marcatamente anticomunista.

Oggi le sinistre vorrebbero ricreare un rapporto di forze dando vita a una potenza pubblica europea

La Polonia è diventata democratica grazie alla sinistra e ai suoi partiti, a cui i polacchi avevano affidato il paese nel 1989 in occasione delle prime elezioni libere. La sua corrente umanista e fondamentalmente socialdemocratica era quella dominante in Polonia, ma ha avuto la sfortuna di dover organizzare la transizione tra un’economia statale in agonia e quell’economia di mercato senza la quale la Polonia non si sarebbe mai potuta risollevare.

La transizione è stata un grande successo, ma ha segnato anche il suicidio della sinistra. In termini di disoccupazione, di chiusura delle fabbriche obsolete e di aumento dei prezzi (il costo umano) la transizione economica è stata talmente dolorosa che il partito formato dai dissidenti ha finito per scomparire, e tutti i tentativi di ricreare una sinistra forte sono falliti miseramente.

In molti ci hanno provato. Gli ex comunisti hanno addirittura conquistato il potere per un po’, ma dato che hanno proseguito il percorso verso il mercato (con episodi di corruzione) alla fine hanno raggiunto i dissidenti, loro vecchi nemici, in un cimitero politico sempre più affollato.

La ruota, prima o poi, girerà di nuovo, ma per il momento è evidente che al di là del contesto particolare la sinistra polacca attraversa una crisi comune a tutta la sinistra europea.

Trent’anni di conquiste sociali finiti in gloria

Nel vecchio continente la sinistra era stata dominante nel dopoguerra perché la paura del comunismo e l’occupazione creata dalla ricostruzione permettevano il susseguirsi delle conquiste sociali.

I “gloriosi trent’anni” di crescita tra il 1945 e il 1973 (come li ha chiamati Jean Fourastié) hanno segnato l’età dell’oro della sinistra, ma, ancora prima dell’implosione sovietica e della conseguente sparizione della paura del comunismo, negli anni settanta la fine della ricostruzione aveva aperto la strada a una disoccupazione strutturale, amplificata poi dalla delocalizzazione, dall’automazione e da una nuova rivoluzione industriale.

Rispetto al dopoguerra i rapporti di forze tra il capitale e il lavoro si sono invertiti, e le sinistre non possono fare molto contro le multinazionali che si fanno beffe degli stati e delle loro leggi.

Oggi l’ambizione delle sinistre è quella di ricreare un rapporto di forze dando vita a una potenza pubblica europea capace di imporre nuove regole al capitalismo. Il problema è che gli elettori non sognano l’Europa, ma un illusorio ritorno agli stati e alle loro frontiere. La sinistra europea è in difficoltà, ed è per questo che quella polacca è stata cancellata dalle mappe.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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