21 marzo 2016 09:20

È un paese al collasso. La Turchia, a cui l’Unione europea ha appaltato il 18 marzo l’accoglienza dei profughi e che il 19 marzo è stata sconvolta da un nuovo attentato, si ritrova isolata sulla scena internazionale e sempre più divisa all’interno.

Sul fronte interno esistono ormai due Turchie, una contro l’altra e di peso uguale. Da un lato c’è la Turchia culturalmente europea, moderna, radicata nel ventunesimo secolo e composta dalla borghesia urbana, dai ricchi e dai giovani studenti con il loro fermento politico e sociale. Questa Turchia non ha nulla di omogeneo, ma condivide un sentimento di opposizione frontale e assoluta nei confronti dell’altra Turchia, quella dei conservatori islamici del Partito della giustizia e dello sviluppo e del presidente Recep Tayyip Erdoğan.

Un’analisi da tenere presente

Questi conservatori islamici non solo non hanno alcuna aspirazione jihadista, ma hanno anche abbandonato l’islamismo delle origini e non vogliono più mettere la religione alla guida dello stato al posto della “lotta di classe”. Oggi l’Akp si presenta come forza “in lotta contro l’ancien régime” e come movimento rivoluzionario, lo stesso che, dopo la prima vittoria elettorale ottenuta nel 2002 in 14 anni, avrebbe strappato i bambini alla miseria e cancellato l’egemonia culturale del fronte occidentalista, quello dell’altra Turchia che avrebbe perso la sua egemonia culturale. Siamo al marxismo in salsa islamista, ma l’analisi dell’Akp non è del tutto sbagliata, per due motivi.

Il primo è che il boom economico della Turchia ha effettivamente avvantaggiato i figli delle famiglie più povere, più religiose e più conservatrici. Il secondo è che l’Akp ha favorito questo sviluppo accelerando la conversione del paese al liberismo e il suo inserimento nel mondo globalizzato. Come in molti paesi emergenti, anche in Turchia è in corso una rivoluzione sociale, ma questa rivoluzione è culturalmente conservatrice, mentre “l’ancien régime” di cui parla l’Akp è una forza progressista.

Ankara non ha più alleati nel mondo arabo

In un momento in cui la tensione interna è all’apice, il presidente turco, sempre più autoritario, continua a chiudere i giornali e a moltiplicare gli arresti nella Turchia che non gli appartiene. Erdoğan e i suoi partigiani sono chiaramente malati di paranoia, aggravata dalla debolezza diplomatica di Ankara.

All’estero la Turchia non ha più amici. Ai ferri corti con la Russia dopo aver abbattuto uno dei suoi aerei al confine con la Siria, il governo turco è in una fase di gelo con gli Stati Uniti, a cui rimprovera di appoggiarsi, nella lotta ai jihadisti dello Stato islamico, a quei curdi siriani che stanno per acquisire l’indipendenza a pochi chilometri dal confine con le regioni curde della Turchia. Al contempo Ankara non ha più alleati nel mondo arabo, mentre il suo accordo con l’Unione nasce solo dalla convenienza reciproca.

Ossessionata dalla repressione dei suoi curdi, la Turchia è sempre più isolata e non sa più dove andare.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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