12 marzo 2019 12:22

La notizia era appena arrivata che già qualcuno gridava vittoria mentre altri parlavano di strumentalizzazione. Bouteflika rinuncia a ripresentarsi, dicevano i primi, perché la piazza ha vinto e gli ha impedito un quinto mandato. Ingenui, rispondevano i secondi, le elezioni presidenziali sono state annullate e il mandato è stato prolungato al di fuori della costituzione. Nel frattempo questo presidente impotente e muto rimane al suo posto finché il regime non gli avrà trovato un successore.

“Il vincitore è il regime”, concludevano i secondi, ma in realtà tutti si sbagliano, perché in Algeria nessuno ha ancora vinto o perduto. Sottoposto a una pressione popolare contro cui non poteva granché, il governo ha fatto qualche concessione rinunciando alla farsa di un’elezione la cui falsità era sempre più insopportabile.

Non si tratta di una piccola concessione e segna un cambiamento nei rapporti di forze favorevole alla piazza, ma nel frattempo è evidente che i dirigenti algerini non hanno alcuna intenzione di rinunciare alla loro rendita e cercano di guadagnare tempo. I manifestanti hanno segnato un punto a loro favore ma il potere arretra solo per consolidare meglio le proprie posizioni. Non è la fine della partita, ma solo l’inizio. In ogni modo complimenti a questo popolo per essere riuscito a imporsi con la sua maturità politica e complimenti agli uomini al potere per aver scelto di prendere tempo anziché sparare.

Né fanatismo né presidenti a vita
Adesso tutto dipenderà dalla reazione popolare, ma che cosa vi dicono questi volti? Che cosa vi ricordano questi giovani, ragazzi e ragazze, che manifestano ancora una volta per le strade algerine più numerosi che mai?

Non si può ignorare l’evidenza. Con la bellezza della loro speranza, con la tranquillità del loro coraggio e con la legittimità della loro causa, sono in tutto e per tutto simili ai giovani iraniani della rivoluzione verde del 2009, ai giovani turchi di Gezi park del 2013, ai giovani tunisini, egiziani, siriani, yemeniti, libici che avevano manifestato per sfidare lo status quo nel 2011 durante le primavere arabe.

Algeri nel 2019 mostra lo stesso rifiuto della violenza di quello visto nel 2009, nel 2011 e nel 2013, la stessa insolenza e soprattutto la stessa esigenza di libertà, di rispetto, di democrazia, di stato di diritto e non di teocrazia. Le conclusioni che possiamo trarne possono essere però di tutt’altro segno.

Alcuni diranno che l’Algeria va verso delle divisioni come in Siria o verso una dittatura terribile come quella del maresciallo Al Sisi in Egitto. Altri invece, più attenti alle differenze nazionali, diranno che l’Algeria ha giù vissuto queste tragedie con la repressione delle manifestazioni democratiche del 1988 e con il decennio sanguinoso che ne era seguito e che nessun algerino vuole rivivere, che difficili compromessi saranno fatti ad Algeri e che l’annuncio dell’11 marzo è il primo passo in questa direzione.

Si vedrà, in ogni modo la certezza è che le giovani generazioni del mondo musulmano non vogliono più né il fanatismo religioso né dei presidenti a vita, che i giovani costituiscono la schiacciante maggioranza della popolazione di questi paesi, che la biologia vuole che i manifestanti di questi ultimi dieci anni saranno al potere tra 20 o più anni e che l’islam sarà completamente diverso.

Intellettuali, artisti, organizzazioni professionali, movimenti giovanili dovranno esprimere la loro solidarietà

Quello che sta succedendo ad Algeri è così importante che tutte le capitali europee e in particolar modo Parigi dovranno rimanere silenziose, per non essere accusate di ingerenza o di neocolonialismo. Al contrario i cittadini dovranno applaudire i manifestanti algerini.

Gli intellettuali, gli artisti, le organizzazioni professionali, i movimenti giovanili e ovviamente i francesi di origine algerina dovranno esprimere la loro solidarietà con la mobilitazione in corso, perché abbiamo una causa comune rappresentata dalla democrazia. La storia, la lingua e la cultura fanno di noi dei cugini ben al di là degli orrori di ieri, dei parenti stretti il cui amore-odio un giorno lascerà il posto al pieno riconoscimento della nostra fraternità.

Una guerra politica di posizione
Che cosa dire allora ai nostri cugini algerini? Proprio perché talvolta dall’esterno le cose si vedono meglio che dall’interno possiamo dirgli che adesso li aspetta una lunga guerra politica di posizione e che non possono più limitarsi ad affermare la loro forza manifestando.

Manifestare è importante ed è stato necessario. Ma adesso la situazione è cambiata, non bisogna abbandonare la piazza ma questo non è più sufficiente. Un movimento così potente deve prendere in mano il destino della nazione aprendo un dibattito nazionale sulle priorità del futuro cambiamento, sulla futura costituzione, sul ruolo dell’esercito e sui tempi della transizione.

Poiché gli studenti, gli avvocati, i medici, gli insegnanti e tutte le attività e professioni sono mobilitate, è necessario che gli ordini professionali, i licei, gli ospedali e le sedi delle organizzazioni professionali diventino il centro di questo dibattito. Adesso più che mai l’Algeria deve sfruttare questo formidabile momento per la sua futura democrazia.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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