07 gennaio 2020 10:13

Chiuso il decennio degli sconvolgimenti, il 2020 sarà l’inizio di un decennio (e forse più) di restaurazione: non del passato ma di un futuro ispirato ai valori del passato. Dopo aver sprecato anni a negare la realtà, l’Europa è costretta a fare i conti sia con la Brexit sia con il disimpegno degli Stati Uniti.

In ogni caso deve crescere e assumersi le sue responsabilità dopo decenni in cui si è nascosta dietro la potenza politica, e in particolare militare, degli Stati Uniti.

La buona notizia è che l’Europa è abbastanza forte per farlo. Dal punto di vista economico, nonostante la grande recessione e le perduranti difficoltà in buona parte degli stati meridionali, i paesi europei sono perlopiù in buona salute. Le economie europee sono cresciute per buona parte del ventunesimo secolo, sebbene in modo molto diseguale. Anche se di recente questa crescita ha rallentato, non c’è motivo di andare nel panico.

Estrema destra consolidata
Dal punto di vista politico, l’Ue ha dimostrato di essere molto più forte di quanto pensava anche la maggioranza dei suoi sostenitori. Come accade spesso, le élite europee hanno abboccato alle apocalittiche fantasticherie dell’estrema destra, convincendosi che la Brexit avrebbe portato alla fine dell’Ue attraverso una serie di uscite. L’Ue è invece uscita da tutta la saga della Brexit più o meno indenne. In verità è più popolare oggi di quanto sia mai stata negli ultimi 35 anni, soprattutto grazie alla Brexit, sia all’interno sia all’esterno del suo territorio.

Ma non va tutto bene. Anche se le istituzioni dell’Ue si sono dimostrate resistenti nei confronti delle sfide sovraniste, non si può dire lo stesso dei suoi valori. Come sostengo nel mio libro The far right today (L’estrema destra oggi), nell’ultimo decennio (o ventennio) le élite europee hanno lentamente ma stabilmente normalizzato e consolidato l’estrema destra, dando priorità alle sue politiche, adottando il suo pensiero e includendo i suoi partiti e i politici. Hanno accolto gli elettori d’estrema destra nella vox populi e sono terrorizzate dall’idea di essere percepite come non più in contatto con il “sentire comune”.

È stata normalizzata e consolidata l’estrema destra nel cuore dell’Unione europea

Questo ha portato non solo a politiche molto più di destra, soprattutto in tema d’immigrazione, integrazione e sicurezza, ma anche a una sottovalutazione politica di questioni importanti, sia sul piano globale sia all’interno dei paesi, come la corruzione, l’istruzione, l’emigrazione, l’ambiente, la salute, la casa e così via.

Ha portato anche alla normalizzazione e al consolidamento dell’estrema destra nel cuore dell’Unione europea. Nell’ultimo decennio Viktor Orbán non ha solo trasformato l’Ungheria da una democrazia liberale (lungi dall’essere perfetta) in un regime autoritario come pochi, ma è diventato uno dei principali attori dell’Ue, capace di sfidare il discorso sull’integrazione della cancelliera tedesca Angela Merkel con una sua personale retorica apertamente e fieramente sovranista.

Ideali europei traditi
Certo, Orbán non ha vinto la battaglia, ma non lo ha fatto neppure Merkel, che ha voluto il disumano e insostenibile accordo tra la Turchia e l’Ue e ha, passo dopo passo, rinnegato molte delle sue politiche favorevoli all’immigrazione nella stessa Germania. In fin dei conti Merkel non è mai stata la “difensora della liberaldemocrazia” come l’avevano definita i mezzi d’informazione internazionali all’indomani della “crisi dei rifugiati” e della vittoria di Trump.

Il governo autoritario di Orbán è costruito su un modello economico che dipende pesantemente dall’industria (automobilistica) tedesca e dai sussidi dell’Ue. In entrambi i casi il partito di Merkel, l’Unione cristiano democratica (Cdu), e in particolare il suo partner bavarese, l’Unione cristiano sociale (Csu), sono stati un importante difensore e sostenitore del regime di Orbán.

L’Ue non può essere all’altezza della sua missione e delle sue finalità se autorizza al suo interno dei regimi democratici illiberali. Anche se è stata esplicitamente fondata per prevenire una nuova guerra tra paesi europei integrandoli economicamente (e politicamente), i paesi che più preoccupavano i suoi fondatori erano quelli governati da partiti e politici di estrema destra. Per questo l’Ungheria di Orbán è antitetica all’ideale europeo.

L’Ue non dovrebbe solo smettere di sostenere economicamente l’Ungheria, dovrebbe chiarire alle sue élite e ai suoi abitanti che devono scegliere tra Orbán e l’Unione. Se l’Ue non si batterà per i suoi princìpi (fondatori), non solo vedrà crescere al suo interno sempre più democrazie illiberali – in particolare, ma non per forza esclusivamente, in Europa centrale e orientale – ma diventerà semplicemente lo scheletro di se stessa.

Le trasformazioni radicali non sono facili e spesso avvengono solo dopo profonde crisi o di fronte a minacce alla propria sopravvivenza. Anche se molte élite politiche ancora non se ne rendono conto, l’Ue, almeno in quanto esperimento democratico liberale transnazionale, deve fare i conti con entrambe le cose. È dai tempi della grande recessione che fa i conti con una crisi ideologica, e la sua esistenza è minacciata sia dall’interno sia dall’esterno.

Affrontare la crisi interna
Abbandonata dagli Stati Uniti, in un processo cominciato molto prima che Trump salisse al potere, e messa in discussione nelle sue fondamenta dalla Russia di Putin, l’Ue si muove in un mondo sempre più frammentario e ostile. Le rimangono nel mondo sempre meno potenti alleati democratici e liberali, visto che anche il Brasile e l’India sono nelle mani dell’estrema destra.

Per questo l’Unione europea deve diventare un attore globale indipendente, ricorrendo al suo potere economico per sviluppare una significativa potenza politica e, in una certa misura, militare, per difendere le sue istituzioni e i suoi valori, non per attaccare quelli degli altri.

Per farlo, tuttavia, deve in primo luogo affrontare la sua stessa crisi interna. Deve ristabilire i suoi princìpi liberaldemocratici, adattarli alle sfide del ventunesimo secolo e far sì che tutti i suoi stati membri siano all’altezza di essi. Se non lo faranno dovrebbero essere, in primo luogo, pesantemente sanzionati e, in mancanza di reazioni significative, espulsi. Se l’Ue non sarà in grado di farlo riuscirà comunque a sopravvivere, ma sarà l’ennesima grande organizzazione priva di una vera finalità, non diversa dalla Nato, alla ricerca di nemici reali e immaginari che mascherino la mancanza di princìpi positivi.

(Traduzione di Federico Ferrone)

In collaborazione con VoxEurop.

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