15 novembre 2014 16:57

È fissata per martedì 18 novembre in commissione affari costituzionali, al senato, l’ennesima partenza dell’Italicum. La legge elettorale che ha Matteo Renzi e Silvio Berlusconi come principali promotori ricomincerà dai cambiamenti concordati nell’ottavo incontro dei due leader, ma dovrà sciogliere ancora alcuni nodi prima dell’approvazione di Palazzo Madama e di quella definitiva di Montecitorio.

Premio di maggioranza Nel testo approvato alla camera il 12 marzo il premio era previsto per liste o coalizioni che raggiungessero almeno il 37 per cento dei voti. Allora era apparsa una soglia equilibrata perché moderatamente difficile da raggiungere. Ma il sorprendente risultato delle ultime elezioni europee con il Partito democratico (Pd) solitario al 40,8 per cento ha spinto verso una modifica che alzerà la soglia al 40 per cento. L’assenza di un livello minimo per l’attribuzione del premio di maggioranza era uno degli elementi più discutibili della precedente legge elettorale, il cosiddetto “porcellum”, ed è stato alla base della sentenza della corte costituzionale che ha abolito quella legge.

Premio di lista o di coalizione Resta invece aperta la decisione se attribuire il premio di maggioranza alla coalizione di partiti o solo alla lista della singola formazione politica più votata. La prima ipotesi, prevista nel testo in prima lettura, rassicura Berlusconi che, al momento, con la sola Forza Italia non potrebbe aspirare né al premio, né a raggiungere il ballottaggio. Ma ad essere strettamente legato a questo nodo c’è il tema dello sbarramento per l’ingresso in parlamento. Attualmente è fissato al 5 per cento e taglierebbe fuori gran parte dei partiti piccoli, da Ncd a FdI-An, costretti a quel punto a confluire in Forza Italia. La proposta del Pd e della sua attuale maggioranza di governo è di portarlo al 3 per cento. Nella discussione parlamentare delle prossime settimane è possibile un andamento a maggioranze variabili sui singoli punti e una mediazione sulla soglia minima, intorno al 4 per cento, che potrebbe sbloccare anche il premio alla lista.

Capilista e preferenze Altro punto di intesa tra Renzi e Berlusconi è quello legato alla selezione dei parlamentari. Nel precedente testo si prevedevano liste bloccate di pochi nomi (da 3 a 6) in 120 collegi plurinominali. Un meccanismo così rigido lasciava pressoché intatto il potere dei partiti nella scelta degli eletti e garantiva le formazioni, come Forza Italia, in cui le candidature sono spesso emanazione diretta del leader. Nell’accordo del 12 novembre si è scelto, invece, di introdurre le preferenze, ma a partire dal secondo nome della lista, lasciando ai partiti, in 100 collegi, la possibilità di indicare il capolista. Questa mediazione, però, rimane il punto più criticato dalla minoranza Pd che lega le preferenze alla libertà di scelta degli elettori. Posizione che, va ricordato, rappresenta una netta inversione rispetto a quella che la stessa area politica aveva non più di due anni fa e che vedeva nelle preferenze “una patologia” destinata ad alimentare clientelismo e corruzione. Resta il dubbio, affidato alla matematica elettorale e alla decisione finale sulla dimensione dei collegi, su quale possa essere, con il nuovo meccanismo, la percentuale di deputati scelti effettivamente dai cittadini. Secondo il premier sarebbe il 70 per cento, secondo i critici non andrebbe oltre il 40 per cento.

I tempi Sul suo percorso, inevitabilmente, l’Italicum incrocerà una questione enorme come le annunciate dimissioni del presidente della repubblica, Giorgio Napolitano. L’accelerazione (“approvazione al senato entro dicembre e quella definitiva entro febbraio”), che secondo alcuni esponenti del Pd tradirebbe l’intenzione del premier di andare ad elezioni anticipate, secondo molti osservatori sarebbe legata alla possibilità che sia proprio Napolitano a firmare l’entrata in vigore della nuova normativa, posticipando così di qualche mese l’addio al Quirinale.

Giorgio Napolitano Non vanno infatti dimenticate le sferzanti parole con cui il capo dello stato accettava il suo secondo mandato il 22 aprile del 2013 e la sua netta sottolineatura dell’urgenza di riformare la legge elettorale:

Contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi. Ecco che cosa ha condannato alla sterilità o ad esiti minimalistici i confronti tra le forze politiche. […] Imperdonabile resta la mancata riforma della legge elettorale. […] Nessuna indulgenza verso i responsabili di tanti nulla di fatto nel campo delle riforme. […] Il fatto che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un diffondersi dell’idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica. […] Non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana.

La destinazione Ma l’Italicum arriverà davvero entro febbraio 2015? L’urgenza politica e l’attuale vuoto normativo farebbero pensare di sì. Ma il rapporto tra la democrazia italiana e leggi elettorali è quanto di più instabile si possa ricordare. Nel paese che per storia e stratificazioni non ha mai veramente voluto scegliere un sistema maggioritario abbiamo sperimentato ircocervi proporzionali innestati su premi di maggioranza: dalla legge Acerbo che permise a Mussolini di svuotare di ogni potere il parlamento, alla legge truffa degasperiana. Dopo una prima repubblica iperproporzionale, fondata nel dopoguerra su una legge approvata da un’assemblea non elettiva, il premio è tornato in voga per “garantire stabilità” e un “vincitore certo la sera stessa delle elezioni” (scatenando l’ironica nostalgia dell’Apparato: “I cittadini devono sapere chi ha vinto la sera prima delle elezioni”). Il cosiddetto Italicum 2.0 si basa su un sottile equilibrio di interessi convergenti e sul filone politico che risponde al motto “il meglio è nemico del bene”. Ma accanto a scelte arzigogolate contiene novità positive come la parità di genere e il ritorno delle preferenze. Vedremo se e come arriverà a destinazione.

Cesare Buquicchio è un giornalista italiano. Ha diretto il sito dell’Unità dal 2009 al 2014.

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