23 febbraio 2015 10:52

Quattro domande sul Jobs act a Luigi Mariucci, ordinario di diritto del lavoro all’università Cà Foscari di Venezia.

Il nuovo contratto a tempo indeterminato introdotto dal Jobs act viene definito “a tutele crescenti”. Quali sono le “tutele crescenti” per il lavoratore?

È una formula ipocrita. Scimmiotta la formula delle tutele progressive nata in ambito europeo. In quel caso, però, alla fine del percorso il lavoratore ottiene la pienezza dei diritti. Mentre nel Jobs act la tutela contro i licenziamenti è, e resta, debole. L’unica cosa che cresce è l’indennità economica. In questi mesi si è introdotta l’idea che l’impresa abbia il diritto di licenziare. Ma anche la carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea parla di potere di licenziare che deve avere delle limitazioni e deve essere giustificato. Gli interessi dell’impresa e del lavoro devono avere un punto di equilibrio. Si è anche detto che la reintegrazione nel posto di lavoro non esiste in altri paesi. Mi limito a ricordare che intanto in Germania esiste, anche se è residuale, ma lì prima di un licenziamento ci vuole il parere delle rappresentanze dei lavoratori. In Francia poi non esiste tutela reintegratoria, ma l’entità del risarcimento può essere decisa dal giudice senza limiti. Da noi si è persino messo un limite discrezionale al tribunale.

Con la riforma avremo sui luoghi di lavoro dipendenti uguali, ma con differenti tutele in caso di licenziamento. Saranno sollevate eccezioni di incostituzionalità? Ci sarà un referendum?

Teoricamente un lavoratore assoggettato alle nuove norme può essere licenziato per un’assenza ingiustificata di tre minuti. Il lavoratore assunto prima del Jobs act, per la legge e per il contratto collettivo, se fa una assenza ingiustificata di un giorno rischia al massimo una sospensione di dieci giorni. Questo lede apertamente il principio di proporzionalità. Ulteriori gravi disparità emergeranno nel caso dei licenziamenti collettivi. Al referendum non credo molto, ricordo precedenti non troppo favorevoli.

Si poteva fare di più per “disboscare” le forme contrattuali precarie?

Tutte le forme precarie permangono anzi sono state rafforzate: è stato esteso il contratto a termine ed è stato reso acausale. È lì che sta il grosso del precariato. Poi restano il lavoro intermittente, il part-time elasticizzato, i voucher, il lavoro a somministrazione. L’unico intervento riguarda alcune forme di collaborazione. L’unico motivo per cui diminuirà un po’ il ricorso a queste formule è la promessa di incentivi e sgravi fiscali per il 2015.

Il nuovo paradigma del mercato del lavoro introdotto dal Jobs act viene definito flexsecurity, quali sono gli strumenti di “sicurezza” per il lavoratore?

Sono ammortizzatori molto deboli e sono solo per chi ha perso il lavoro. Chi il lavoro lo cerca non ha diritto a niente. La flexsecurity funziona in paesi che hanno una spesa molto alta e forniscono un sostegno economico molto concreto per chi è senza lavoro. Altro elemento indispensabile perché questo sistema funzioni è la creazione di istituzioni pubbliche efficienti che si occupino dell’incontro tra domanda e offerta e che facciano controlli severi su chi non rispetta le regole. Questo avrebbe dovuto fare il Jobs act, ma ha scelto solo la scorciatoia della liberalizzazione dei licenziamenti.

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