23 maggio 2003 14:36

Il che rende un bar meno bar, anche per i non fumatori. Nella mia memoria a Dublino certe cose non succedevano. Ma poi ho letto che la capitale irlandese, insieme con il resto del paese, sta per proibire le sigarette in tutti i locali pubblici.

Anche in questo caso, come a Manhattan, mi sembra di scorgere un certo autolesionismo. Lo spirito da saloon, esportato con tanto successo oltre l’Atlantico, è stato mandato in soffitta anche nel suo cuore newyorchese, per colpa della mentalità tutta latte e acqua minerale dei narcisisti della salute e della sicurezza.

Addio, dunque, all’Apollo Theatre, all’Harlem Renaissance e a tutti i localini dove si ascoltava blues e si beveva alcol sottobanco. Addio ai caffè di Little Italy e ai retrobottega di Chinatown. E addio, se davvero arriveremo a tanto, anche ai bar, alle librerie-caffè e ai ritrovi del Greenwich Village, dove furono organizzate tante rivoluzioni culturali e politiche fallite. Luoghi meravigliosi che ci appaiono – ormai solo retrospettivamente – attraverso una nube grigio-bluastra di fumo. Insomma, addio alla bohème. D’ora in avanti New York sarà solo una delle tante città sicure e all’acqua di rose, preoccupata della sua salute, della sua linea e della sua rispettabilità.

L’offensiva dei puritani

No, non fraintendetemi. Lo so, probabilmente dovrei smettere. E comunque sono il tipo che la sigaretta non l’accende nemmeno, se qualcuno gli chiede di non farlo. Preferisco evitare i molti locali no smoking di Manhattan, e augurare ai loro clienti una vita lunga e tediosa. Ma il punto è che adesso ci sono degli ispettori che girano per i bar a controllare che le nuove norme vengano rispettate. Be’, per me questo equivale a negare perfino l’anima di una città come New York. Personalmente non ho intenzione di chiedere a nessuno il permesso di girare per la città. Ci manca solo che istituiscano un ispettorato che ti informa quando hai raggiunto il tuo numero limite di cocktail o il tuo massimo consentito di carboidrati.

Il sindaco di New York, Michael Bloomberg, non si è accontentato dello status quo, che dà ai non fumatori la possibilità di scegliere fra un’ampia gamma di bar e ristoranti no smoking. No: ha dovuto fare in modo che i fumatori non sappiano più dove andare! Con questo abbiamo varcato il confine fra la tutela dei non fumatori e il proibizionismo. Siamo entrati nel territorio in cui il governo decide di agire “per il tuo bene”.

New York è il tipo di città dove il proprietario di un bar avrebbe potuto appendere un’insegna o un cartello con scritto: “Se non vi piace il fumo, non venite a rompere le palle in questo bar”. Così, tanto per essere chiari. Ma ora è finita. E la cosa più deprimente è l’arrendevolezza con cui questa grande città si è adeguata, docile, senza batter ciglio.

Naturalmente ci sono qua e là dei focolai di ostinata resistenza. Conosco più d’un barista che per i suoi clienti migliori osa ancora tirar fuori il posacenere. Solo che ora il gesto potrebbe costargli una multa di ben duemila dollari. Già, perché la multa non la prendono i fumatori. Macché, le autorità sono scaltre: le loro leggi preferiscono farle applicare dagli altri. Meglio avvelenare il rapporto personale fra il barista e il cliente abituale per proteggere l’eventuale avventore che (avendo evitato tutti i locali no smoking disponibili) potrebbe sentirsi “offeso”.

Siamo alle solite: questo significa stravolgere il carattere stesso di un’intera città in favore del più supino conformismo, insieme all’aumento delle catene di librerie e di negozi di alimentari tutti uguali, e all’omologazione architettonica.

Il fenomeno è già abbastanza deprimente quando succede a Des Moines, Iowa. Ma a New York ci sono migliaia di persone che abitano in appartamenti troppo piccoli per cenare in due, figuriamoci per dare una festa. E allora che fanno? Escono e vanno nei locali pubblici. Ecco perché New York non è seconda a nessun’altra città in fatto di bar e di ritrovi. Ma cos’è un locale pubblico senza booze e senza fags, cioè senza l’alcol e senza le sigarette? Ormai i puritani hanno deciso che ci pensano loro, e così anziché “nella città che non dorme mai” rischiamo di svegliarci “nella città che non fuma mai”.

Certo, ci sarà qualche piccolo ammutinamento, come se ne sono visti a San Francisco e a Los Angeles. Chissà, forse nascerà una nuova subcultura: quella dei locali dove si fuma di nascosto, quella delle bustarelle agli ispettori antifumo. Nella più bella delle sue poesie scritte a New York, il 1° settembre 1939, W.H. Auden raccontava come le persone si riconoscessero fra di loro grazie a degli “ironici puntini luminosi”. Se arriveremo a questo, la fiamma di un fiammifero amico diventerà la versione ridotta di una protesta collettiva.

*Traduzione di Nazzareno Mataldi.

Internazionale, numero 489, 23 maggio 2003*

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