28 ottobre 2014 12:40

L’amministrazione Clinton è quella che negli anni novanta ha introdotto negli Stati Uniti la politica del don’t ask, don’t tell. In pratica, la presenza di omosessuali nell’esercito era garantita dal principio secondo cui nessuno poteva chiederti se eri gay, ma neanche tu non potevi dirlo a nessuno. Altrimenti, fuori.

Vent’anni dopo, mentre l’amministrazione Obama ha definitivamente abolito il don’t ask, don’t tell, Bill Clinton, insieme a sua moglie, è diventato un grande sostenitore dei diritti civili degli omosessuali. È buffo notare come il pruriginoso compromesso da lui stesso concepito sembra ritorcersi contro di lui: ormai nessuno si azzarda più a chiedere a Clinton delle sue politiche anti-gay degli anni novanta, e lui si guarda bene dal parlarne.

L’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton a Washington, il 25 ottobre 2014, per l’incontro organizzato da Human Rights Campaign. (Nicholas Kamm, Afp)

In un gala organizzato nei giorni scorsi dall’organizzazione pro-gay Human rights campaign, l’ex presidente ha voluto invece accennare di nuovo a quel suo provvedimento, spiegando che per l’epoca era stato un grande passo avanti. E poi ha detto: “Non ho mai visto un movimento per i diritti civili, almeno nel nostro paese, andare così lontano e così velocemente come il vostro. Mai”.

L’entusiasmo di Bill Clinton è giustificato, visto che negli Stati Uniti si assiste a un effetto domino che in pochi mesi ha portato a 32 il numero di stati in cui gay e lesbiche possono sposarsi. Ma riflettendo sulla natura del movimento lgbt si capisce che si tratta di un fenomeno diverso dalle battaglie per i diritti civili del passato.

A differenza di altre minoranze, gli omosessuali sono presenti in tutti i gruppi etnici e in tutte le fasce sociali. Ce ne sono perfino all’interno del Vaticano. E oltrepassano la barriera maschio-femmina che da sempre tiene le donne in posizione subalterna.

Quella omosessuale si potrebbe definire una minoranza diffusa, la cui accettazione avviene soprattutto per via privata, all’interno delle famiglie, e in cui non esiste una netta distinzione tra oppressi e oppressori.

Quando Harvey Milk, storico leader del movimento lbgt americano degli anni settanta, ha invitato ogni gay americano a fare coming out con cinque parenti o amici, aveva già capito che la forza del movimento gay è il suo canale privato, la sua capacità di passare per gli affetti più intimi e più importanti.

Ormai nei paesi occidentali anche l’omofobo più convinto deve rimettere tutto in discussione quando suo figlio gli rivela la sua omosessualità. Prima ancora di Bill Clinton bisogna parlare della clamorosa conversione dell’ultraconservatore Dick Cheney, vicepresidente di George W. Bush, che un bel giorno del 2004 è diventato uno dei primi sostenitori del matrimonio ugualitario.

L’ex vicepresidente degli Stati Uniti Dick Cheney e sua figlia Mary Cheney in California, il 6 febbraio 2011. (Robyn Beck, Afp)

Il motivo? Semplice: un bel giorno del 2004 sua figlia gli ha detto di essere lesbica. E questo gli è bastato per voltare le spalle a tutto l’elettorato di religiosi estremisti.

Lo so, ci sono paesi in cui l’effetto domino sembra andare al contrario, o quelli come l’Italia dove le caselle del domino sono congelate in posizione verticale da decenni, ma credo che le prospettive di lungo termine siano ottimistiche.

Perché la particolare natura sociale dell’omosessualità offre una magnifica opportunità di erodere il pregiudizio dall’interno, passando dal cuore invece che dalla politica.

Il discorso di Bill Clinton al gala della Human rights campaign

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