25 marzo 2016 11:24

Ero maniacalmente puntuale ma da quando ho dei figli sono una ritardataria cronica. C’è ancora speranza di tornare com’ero?–Eva

“Improvvisamente mi sono resa conto che dicevo alle mie figlie ‘sbrigatevi’ molto più spesso di ‘ti voglio bene’”. Quando ho letto queste parole della scrittrice statunitense Rachel Macy Stafford mi sono intristito. La frase che ripetevo io – “sbrigatevi che facciamo tardi” – era perfino peggio perché conteneva anche una minaccia.

Stafford si è accorta della sua brutta abitudine osservando la figlia maggiore che diceva “sbrigati” alla sorella: “E quando ha incrociato le braccia lasciandosi andare a un respiro esasperato, ho visto me stessa. E ho avvertito una stretta allo stomaco”, racconta. Nel mio caso, a farmi notare il mio automatismo sono stati i miei figli che, nei rari casi in cui non lo dicevo io, hanno cominciato a chiedermi: “Papà, siamo in ritardo?”.

Come se gli sembrasse strano non sentire la solita pressione da parte mia. Allora ho provato a cambiare atteggiamento e, anche se non sono riuscito a smettere completamente di dire “sbrigatevi”, sto cercando di dirlo meno, o se non altro meno spesso di “ti voglio bene”.

“Non è stato difficile eliminare ‘sbrigati’ dal mio vocabolario”, conclude Stafford. “La cosa dura è stata imparare a essere più paziente. Per renderci la vita più facile, quando dovevamo uscire ho cominciato a far preparare mia figlia con più anticipo. Ma soprattutto ho accettato il fatto che a volte arriveremo comunque in ritardo. E in quei casi mi dico che succederà ancora solo per qualche anno, finché mia figlia sarà una bambina”.

Questa rubrica è stata pubblicata il 25 marzo 2016 a pagina 14 di Internazionale, con il titolo “Senza fretta”. Compra questo numero | Abbonati

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