17 aprile 2024 16:01

“Nel Regno Unito siamo un gruppo per famiglie, viene a vederci gente di tutte le età, in Olanda e in Svezia siamo un gruppo dance per teenager e negli Stati Uniti siamo considerati una band alternativa se non addirittura new wave”. Così nel 1991 Vince Clarke cercava di spiegare lo strano ma pervasivo successo che il suo terzo gruppo, gli Erasure, stava avendo in tutto il mondo. Vince Clarke, che oggi ha 63 anni, è stato con Martin Gore il fondatore dei Depeche Mode; dopo poco decide di mettersi in proprio e fonda, con la cantante Alison Moyet, gli Yazoo; dopo due album e diversi singoli di successo scioglie anche gli Yazoo e mette un annuncio su un giornale alla ricerca di un cantante.

Quell’audizione, nel 1985, la vince Andy Bell (che oggi ha 59 anni), un ragazzone inglese con un’agile voce da tenore e una presenza scenica a metà strada tra il calciatore Paul Gascoigne e una diva ero-disco. Andy Bell è muscoloso, disinibito e orgogliosamente gay quanto Vince Clarke è segaligno, taciturno e vagamente impiegatizio. “Lui sa cantare e io so programmare i computer”, ha detto Clarke a proposito del loro sodalizio. In realtà il loro quinto album insieme, Chorus, uscito nel 1991, mostra quanto i due, sebbene così diversi, fossero davvero bene assortiti.

Gli Erasure avevano avuto già diverse hit negli anni precedenti: in particolare Stop!, un pastiche tra Motown ed euro-disco, era arrivato al numero due delle classifiche inglesi nel 1988. Il loro synth pop molto dance e molto orecchiabile negli anni si era affinato e non c’era alcun motivo di cambiare formula proprio quando un numero uno sembrava dietro l’angolo.

Il 1988 era l’anno in cui nelle classifiche britanniche si stava esaurendo la “fase imperiale” dei Pet Shop Boys (sono loro stessi ad ammetterlo nel loro libro Literally) e gli Erasure sembravano pronti a prendere il loro posto. E poi erano in tutto e per tutto gli anti-Pet Shop Boys: pur mettendo in scena la stessa dinamica tra nerd taciturno dietro alle tastiere e cantante più estroverso davanti al microfono, gli Erasure erano decisamente più appariscenti. Neil Tennant dei Pet Shop Boys avrebbe fatto coming out solo nel 1994, mentre Andy Bell era già chiassosamente “out and proud” e con un carisma in concerto che Neil Tennant ancora non aveva. Tennant ci stava lavorando sopra (come avremmo visto in seguito), ma in quel momento la nuova reginetta del ballo (e delle classifiche) sembrava essere solo Andy Bell.

Erasure, Love to hate you, 1991

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Se i Pet Shop Boys avevano le loro radici nell’italo disco, nel musical e nella house, gli Erasure si rifacevano più agli Omd da una parte e agli Abba dall’altra. E Vince Clarke in particolare aveva una vera mania per i sintetizzatori analogici dei Kraftwerk e di certo kraut rock. Non era esattamente roba da alta classifica tra gli anni ottanta e novanta, ma l’anima pop e lo spirito camp di Andy Bell bastavano per due. E proprio la fissazione per i synth analogici e una certa stanchezza per l’utilizzo delle interfacce MIDI, all’epoca irrinunciabili, avevano portato Vince Clarke a buttare via tutti i sintetizzatori e i sequencer all’ultima moda per recuperare i ferri vecchi che aveva usato nei primi anni ottanta, gli anni in cui scriveva e produceva i primi pezzi dei Depeche Mode con Martin Gore.

Chorus, il loro album synth pop di maggior successo, nasceva da un pensiero controintuitivo: l’elettronica non deve essere per forza ultramoderna. Anzi, se è un po’ vintage è più calda, più duttile ed entra più velocemente nel cuore del pubblico. Se le melodie sono buone, se le canzoni sono solide, molto meglio perdere più tempo a programmare uno per uno i synth analogici e montare tutto in studio come si faceva fino a poco tempo prima. Le nuove canzoni però non erano né buone né cattive: non c’erano proprio. Gli Erasure infatti entrarono nello studio Polygone di Tolosa, in Francia, con delle vecchie macchine, un sequencer Roland MC-4 CV/gate e zero canzoni scritte.

“Mi ero dato due regole”, ricorda Vince Clarke sulle note della ristampa di Chorus del 2020. “Numero uno: solo sintetizzatori analogici. Numero due: ogni singola linea di ogni pezzo doveva essere monofonica”. In altre parole vecchie tastiere e nessuna interfaccia digitale per mettere insieme le varie tracce: un lavoro certosino che all’inizio degli anni novanta doveva sembrare folle. Soprattutto doveva sembrarlo a una casa discografica che, per quanto sportiva, aveva bisogno di prodotto pop da buttare in pasto alle classifiche.

Con il senno di poi Daniel Miller, lo storico fondatore della Mute, l’etichetta sia dei Depeche Mode sia degli Erasure, ha detto che nulla di ciò che faceva Vince Clarke in quegli anni gli sembrava un gran rischio, anche perché la cosa davvero rischiosa l’aveva già fatta: mollare i Depeche Mode quando stavano cominciando ad avere davvero successo. Per non rischiare troppo però decise di accoppiare a Vince Clarke un produttore, Martyn Phillips, già responsabile di una delle più grandi hit pop di quel periodo: I’ve been thinking about you dei Londonbeat.

Un lavoro lento e difficile
Il primo abbozzo su cui lavorano sarebbe diventato un pezzo chiamato Turns the love to anger. Il risultato era buono, però il lavoro procedeva in modo drammaticamente lento. La Mute premeva per avere un singolo e gli Erasure e Martyn Phillips si spostarono a Londra dove lavorarono su un altro pezzo, Home, che sarebbe diventato la chiusura dell’album. Era il pezzo preferito di Vince Clarke ma non era un singolo. A quel punto Daniel Miller spostò tutti (con armi e ingombranti bagagli) in un altro studio ad Amburgo, in Germania, dove le cose finalmente cominciarono a sbloccarsi. Andy Bell in particolare scalpitava: il processo di montaggio dei pezzi era troppo lento e lui voleva cantare. “All’epoca non avevo capito la purezza del lavoro che stava facendo Vince”, ricorda nel 2020, “oggi capisco che è la cosa più vicina al lavoro dei Kraftwerk che abbiamo mai fatto ma è stato lì, purtroppo, che io e Vince abbiamo cominciato a sentirci più distanti in studio: io me ne stavo seduto da una parte mentre lui si fissava per otto ore sul suono di un charleston”.

Lentamente però le canzoni hanno cominciato a sgorgare: Joan, vagamente ispirata alla storia di Giovanna d’Arco, e Am I right, una bellissima ballad elettronica che ricorda The day before you came degli Abba. Waiting for the day e Perfect stranger sono collegate: entrambe parlano di attese snervanti e di sentirsi intrappolati in una relazione sbagliata. Tutti i pezzi di Chorus hanno qualcosa di molto volubile che li fa oscillare tra la malinconia e la gioia più spensierata; è un equilibrio delicatissimo che nessun altro album degli Erasure è più riuscito a ricreare. E, soprattutto, in Chorus (forse a causa delle tensioni a cui tutti erano sottoposti in studio) non c’è un pezzo debole: funzionano tutti e avrebbero potuto tutti essere singoli di successo.

Come primo singolo fu scelta la canzone più strana di tutte, Chorus, un pezzo sì smaccatamente pop, ma che parte con una forte distorsione, come un interfono di Star Trek che cerca di sintonizzarsi. Chorus parla di consumismo e di ambiente e della nostra incapacità di renderci conto delle conseguenze di ciò che facciamo su questo pianeta. Il ritornello, chorus in inglese, è incalzante e coinvolgente ma se ascoltiamo le parole dice: “E hanno coperto il cielo finché gli uccelli non sono spariti e tutti i pesci nel mare non se ne sono andati a dormire”.

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Il secondo singolo, Love to hate you, fu l’unica volta in cui Daniel Miller della Mute s’impicciò di ciò che gli Erasure stavano facendo in studio. Il pezzo, in parti uguali I will survive di Gloria Gaynor e It’s a sin dei Pet Shop Boys, doveva essere la facciata B di un singolo e non finire neanche nell’album. Miller la sentì in studio e disse che no, quello era proprio un singolo.

Con il suo incalzante sapateado iniziale e uno svergognato ritmo disco-samba, Love to hate you è la prova di quanto camp e divertenti potessero essere gli Erasure. Ancora una volta le parole della canzone non combaciano con la musica: Love to hate you parla di una coppia aperta, troppo aperta per il suo stesso bene. Andy Bell in quel periodo aveva una storia burrascosa con un compagno che non si limitava a lasciargli fare quello che voleva con altri, ma gli forniva anche personalmente uomini diversi con cui andare a letto. Nel bridge Andy canta: “Tutti gli amanti che mi hai mandato erano senza garanzia soddisfatti o rimborsati, quindi li rispedisco al mittente con una nota che dice quanto amo odiarti”. Racconta esattamente quello che stava vivendo nella sua vita privata.

L’album Chorus andò dritto al numero uno delle classifiche inglesi e nel 1992 gli Erasure allestirono un tour chiamato The phantasmagorical entertainment: una sorta di circo dal sapore vittoriano, un po’ vecchio vaudeville e un po’ mega-discoteca gay. Quando Vince Clark diceva che nel Regno Unito gli Erasure erano un gruppo per famiglie aveva perfettamente ragione: nonostante il camp (Andy che arriva sul palco vestito da cigno come in un Lohengrin messo in scena da drag queen) e la nudità (Andy che canta Stand by your man di Tammy Wynette con dei chaps da cowboy che gli lasciano le natiche scoperte), il pubblico pagante era di tutte le età, poppettari e discotecari, bambini con i genitori e nonne coperte di glitter con una bella pinta di lager in mano.

Lo stesso Vince Clarke, assolutamente eterosessuale, nel quadro country-western dello show appariva in drag da sciantosa del saloon. Alla fine The phantasmagorical entertainment era una specie di versione synth pop e sotto steroidi del vecchio panto (o pantomime), una forma di teatro popolare tipicamente inglese in cui canzoni, numeri di ballo, battutacce e travestimenti un po’ equivoci fanno sghignazzare, cantare e ballare un pubblico allegro, alticcio e trasversale. E poi a tenere insieme tutto e tutti c’era il grande collante degli Abba: un intero segmento dello show era dedicato alla band svedese con tanto di finta votazione in stile Eurovision.

Gli Erasure di Chorus sono molto di più della formula matematica Abba+Kraftwerk: l’album contiene le migliori canzoni della loro carriera e l’elettronica analogica di Vince Clark, così piena e croccante, suona ancora oggi elegantissima e non si contano i gruppi che negli anni hanno cercato di avvicinarsi, non sempre con successo, a quel suono.

Erasure
Chorus
Mute, 1991

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