16 aprile 2015 18:44

Duecentosettantasei sagome nere accompagnate dai nomi di ognuna delle ragazze rapite il 14 aprile 2014 a Chibok, nella Nigeria nordorientale, da Boko haram. Per mesi questa installazione grafica ha corredato una rotonda di Ikoyi, il quartiere chic di Lagos. Per ricordare ai ricchi della Nigeria che quelle giovani ragazze non dovevano essere dimenticate. Ma con l’arrivo del Natale e dell’annesso diluvio consumistico, le fragili sagome sono sparite.

Ogni tanto dei movimenti per la difesa dei diritti umani organizzano in questo luogo simbolico una manifestazione per le Chibock girls. A parte la ventina di organizzatori, però, di solito non si presenta molta gente. I giornalisti, nigeriani e occidentali, e i rappresentanti dell’Sss (Servizio di sicurezza dello stato, la polizia politica nigeriana) sono spesso più numerosi della folla. Questo è stupefacente in una città di ventidue milioni di abitanti, la più popolosa del continente. Una popolazione tra l’altro particolarmente politicizzata e ben informata.

Anche il massacro di Baga, che lo scorso gennaio ha provocato quasi duemila morti nel nord del paese, è stato accolto con indifferenza dagli abitanti di Lagos. Ai giornalisti occidentali che li interrogano sui loro sentimenti, molti di loro rispondono così: “Non m’interessa. Qui noi siamo occupati a fare affari. Non abbiamo tempo per queste storie che riguardano il nord”.

Durante la campagna elettorale il dramma di Chibok è stato rievocato spesso da intellettuali vicini all’opposizione. “Alcuni erano davvero indignati, in particolare Wole Soyinka, il primo africano ad aver vinto il premio Nobel per la letteratura nel 1986 e attivista di lunga data per la democrazia e i diritti umani. Altri intellettuali però lo facevano soprattutto per puntare il dito contro le inadeguatezze del regime di Goodluck Jonathan (presidente in carica sconfitto alle presidenziali del 28 marzo). L’ex capo di stato ci aveva messo due settimane prima di parlare pubblicamente del rapimento e non era andato a Chibok. Per molti l’intera campagna a favore delle Chibok girls era una scusa per nascondere altre finalità politiche. Adesso che Goodluck ha perso il potere, non hanno più alcun interesse a tenere alta l’attenzione”, sostiene Tunde Afolayan, un insegnante di Lagos.

Le regioni terrorizzate da Boko haram distano più di mille chilometri dalla capitale economica della Nigeria. Lagos non è mai stata toccata dal terrorismo islamista. “E poi noi apparteniamo a un altro mondo. Siamo rivolti verso l’occidente e i suoi valori. Ci esprimiamo in inglese. Loro preferiscono l’hausa. Quando possiamo, facciamo studiare i nostri figli nel Regno Unito o negli Stati Uniti. Siamo cristiani. Loro sono musulmani. Non abbiamo niente a che fare con quelli del nord”, confessa un ministro nigeriano, originario della regione yoruba (sudovest della Nigeria, dove si trova Lagos).

Lagos e la sua regione conoscono d’altro canto altri orrori. “Qui ci sono ancora sacrifici umani. L’anno scorso sono stati scoperti carnai di grosse dimensioni a Ibadan”, sottolinea Dara, una delle poche ragazze venute a manifestare per le studentesse rapite a Chibok. Dara aggiunge con un sospiro: “Certo, quello che è successo a Chibok è orribile. Ma almeno si può sperare che siano ancora vive. Abbiamo imparato a relativizzare l’orrore”.

A Lagos le pubblicità per i grandi marchi di champagne o di cognac sono ovunque. “Non è raro che un gruppo di giovani ricchi che festeggia un compleanno in un locale notturno spenda in pochi minuti decine di migliaia di euro in champagne”, sottolinea Tunde, gestore di un locale notturno alla moda. D’altro canto Lagos è da qualche anno il principale mercato africano per lo champagne e il cognac.

La popolazione locale non si sente affatto toccata dallo slogan di Boko haram, ossia “l’educazione occidentale è peccato”. “Qui la prima cosa che si fa quando si hanno i soldi è mandare i propri figli a studiare nel Regno Unito. La gioventù dorata comincia a frequentare le boarding school (collegio) dall’età di sei anni. Molte famiglie spendono più di 50mila euro all’anno soltanto per far andare la loro progenie a scuola nel Regno Unito”.

L’élite di Lagos ha spesso la doppia nazionalità. Il paese ha 400mila cittadini dalla doppia nazionalità, britannica e nigeriana. A questi bisogna aggiungere centinaia di migliaia di cittadini con la doppia nazionalità statunitense e nigeriana. Non è raro sentire una lagosiana lamentarsi con un inglese dall’accento posh delle tasse troppo alte in Inghilterra, spiegando che se conserva le sue numerose proprietà a Chelsea è solo per un “attaccamento sentimentale” al paese in cui ha studiato. Inutile dire che questi ricchi nigeriani che vivono tra Chelsea, Ikoyi e gli Stati Uniti si preoccupano pochissimo delle Chibok girls. Tanto più che alcuni di loro sognano una divisione tra il “sud utile” e il nord saheliano devastato dalla povertà endemica, dal diffuso analfabetismo e dall’islamismo radicale.

“Nello stato di Zamfara (nord), una ragazza studia in media un anno, contro i 23 di media nella regione yoruba. Sono davvero due mondi diversi”, confida Feyi, un’insegnante di Ikoyi. La regione yoruba assiste a uno sviluppo economico spettacolare mentre il nord affonda nella povertà.

A Lagos poi non è raro trovare grandi aziende guidate da donne. Occupano posti di responsabilità in tutti i campi. Dopo le presidenziali del 28 marzo e l’elezione dei governatori l’11 aprile, le élite politiche, economiche, culturali e mediatiche hanno cominciato a fare la spola in aereo tra Lagos e Abuja, la capitale federale, per sapere chi occuperà i posti più redditizi e più prestigiosi. Da decenni l’élite nigeriana prende l’aereo come altri prendono l’autobus o la macchina.

C’è una “donna data per dispersa” a cui tutti si stanno appassionando in questo periodo a Lagos. Ma non ha niente a che fare con le Chibok girls. Al contrario, questa donna appartiene alle élite più fortunate. È la ministra del petrolio Diezeni Alison-Madueke. Un posto molto ambito in un paese in cui dal 10 al 15 per cento della produzione petrolifera “evapora” ogni mese nel nulla, per ammissione delle stesse autorità.

Diezeni Alison-Madueke è accusata dai mezzi d’informazione nigeriani di aver giocato un ruolo essenziale nella brutale “evaporazione” di venti miliardi di dollari l’anno scorso. Quando l’allora direttore della banca centrale Lamido Sanussi – l’uomo che ha svelato la faccenda – si era indignato pubblicamente per la sparizione improvvisa di questi venti miliardi di dollari, era stato subito destituito dalle sue funzioni dal presidente Goodluck Jonathan, ritenuto molto vicino alla ministra.

Oggi, secondo la stampa nigeriana, la ministra del petrolio fa “turismo medico” all’estero. Diezeni Alison-Madueke avrebbe tentato di negoziare un “esilio” almeno in sei paesi. Secondo il sito nigeriano d’inchiesta Sahara Reports, però, tutti i paesi interpellati finora si sarebbero rifiutati di accoglierla.

Il nome di questa ministra salta fuori praticamente in tutte le conversazioni a Lagos. “Diezeni Alison-Madueke deve restituire i soldi!”, pretendono i lagosiani. “Bisogna ritrovarla e costringerla a dare spiegazioni al paese”, si infervora Funmi, un giovane funzionario di banca. “Per questo ho votato per Buhari. Perché i ladri vengano presi e messi in prigione”. Funmi aggiunge poi con un’alzata di spalle: “È triste dirlo, ma adesso il destino di questa donna che vale miliardi di dollari ci preoccupa molto più di quello di tutte le Chibok girls messe insieme”.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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