05 marzo 2013 18:30

Nel gergo vaticano sono chiamati gli “insabbiatori” e sono coloro che ritengono che negli ultimi mesi il nome della chiesa sia stato infangato abbastanza dagli scandali e che ora sia necessario voltare pagina. Ma sulla loro strada devono fare i conti con i “purificatori”, quelli che invece ritengono che la pulizia avviata da Benedetto XVI debba essere continuata e portata a termine, altrimenti la chiesa cattolica non potrà ritrovare il suo slancio e una nuova linfa.

Ora che, con l’entrata in vigore delle dimissioni del papa, si è aperto il periodo della cosiddetta “sede vacante” e che la data del prossimo conclave non è stata ancora fissata, si annuncia una battaglia inedita per il trono di San Pietro. Le rivalità (e talvolta i conflitti) tra ordini religiosi, nazionalità e movimenti cattolici persistono e daranno vita, nel corso delle votazioni sotto la volta della cappella Sistina, a raggruppamenti e alleanze occasionali. Ma i problemi messi parzialmente in luce dallo scandalo Vatileaks, così come i casi pedofilia nella chiesa, hanno profondamente modificato gli interessi legati all’elezione del prossimo pontefice.

Sulla carta si tratta di uno dei conclavi più aperti della recente storia della chiesa. La tradizionale divisione tra conservatori e progressisti si è ridotta. In particolare a causa della scomparsa in agosto della grande figura riformatrice incarnata dal cardinale di Milano, Carlo Maria Martini. Nel 2005, pochi giorni prima di entrare in conclave, Martini si era riunito con i cardinali Cormac Murphy-O’Connor (britannico), Walter Kasper (tedesco) e Mario Francesco Pompedda (italiano) per cercare – invano – di organizzare il suo schieramento. Di fatto l’elezione si era rivelata una sorta di referendum pro o contro il teologo Joseph Ratzinger, all’epoca potente prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.

Questa volta i progressisti potrebbero cercare di coalizzarsi dietro la figura del cardinale italiano Francesco Coccopalmiero, presidente del Consiglio pontificio per i testi legislativi ed ex collaboratore di Martini. Oppure potrebbero mobilitarsi intorno al cardinale filippino Luis Antonio Tagle, che ha solo 55 anni. Il fattore “età” è diventato molto importante dopo l’esperienza di Benedetto XVI, eletto a 78 anni e che si è dimesso dopo otto anni perché “non più in grado di compiere il ministero di Pietro con la forza necessaria”.

Ma ormai è difficile parlare di un vero e proprio schieramento riformatore. “Anche nella chiesa il peso delle ideologie è meno forte che nel passato”, osserva il vaticanista del quotidiano La Stampa Giacomo Galeazzi. “La divisione tra i vecchi e i moderni è meno forte che nel passato e le frontiere sono più vaghe”.

Tanto più che tutti i 115 cardinali elettori (cioè sotto gli ottant’anni) sono stati eletti da Giovanni Paolo II o da Benedetto XVI e quindi riflettono in modo più o meno forte il quadro dogmatico degli ultimi due pontefici. “Sono grosso modo tutti dei conservatori creativi”, sintetizza Galeazzi. “Ritengono che ci siano dei princìpi non negoziabili, ma che bisogna essere attenti alla modernità”. Così ci sono alcuni cardinali che possono considerarsi favorevoli a una discussione sul celibato dei sacerdoti, ma di fatto tutti sono assolutamente contrari a un riconoscimento delle coppie omosessuali.

I nodi da sciogliere

In compenso Benedetto XVI ha chiaramente definito uno dei nodi fondamentali del prossimo conclave: il risanamento della curia e della chiesa. Alla fine del marzo del 2005, prima di essere eletto papa e mentre presiedeva al posto di Giovanni Paolo II agonizzante la via crucis di fronte al Colosseo, Ratzinger aveva già lanciato un’esortazione: “Signore, spesso la tua chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. La veste e il volto così sporchi della tua chiesa ci sgomentano”. Mercoledì, prima di chiudere definitivamente il suo pontificato, Ratzinger ha ripreso la stessa immagine affermando che “Dio non lascia affondare la sua barca” e ha citato le “acque agitate” del tempo presente. In precedenza il papa aveva denunciato “le divisioni che sfigurano il volto della chiesa”.

Durante il suo pontificato Benedetto XVI ha in particolare affrontato al questione della pedofilia nella chiesa, costringendo quasi ottanta vescovi a dimettersi per aver coperto degli abusi sessuali e ha fatto capire che spera nella continuazione di un’azione di “purificazione” da parte del suo successore. A questo scopo ha in particolare autorizzato i tre cardinali che hanno redatto un rapporto sulle fughe di notizie (Vatileaks) e sul furto da parte del suo maggiordomo di documenti nei suoi appartamenti a incontrare i loro colleghi che si apprestano a entrare in conclave.

Mercoledì scorso erano già arrivati a Roma più di 70 dei 115 cardinali. Molti prelati stranieri hanno fatto sapere di volere ottenere maggiori informazioni sui vari casi in occasione delle congregazioni generali che precedono il conclave. Questa sorta di assemblee nel corso delle quali sono liberamente discusse tutte le questioni inerenti la chiesa, servono anche a definire le prime coalizioni in vista dell’elezione. La data del conclave, che dovrà tenersi tra i 15 e i 20 giorni dopo la “vacanza” del soglio pontificio, dovrebbe quindi essere decisa al più presto. Con molta probabilità i cardinali dovrebbero entrare nella cappella Sistina per il primo voto il 10 o l’11 marzo.

In questo contesto gli insabbiatori legati dall’ex segretario di stato Angelo Sodano vorrebbero che le discussioni su Vatileaks non si protraessero troppo a lungo; ritengono che il prossimo pontificato dovrà interessarsi soprattutto alla diplomazia e ai cattolici nel mondo, cercando di chiudere il più rapidamente possibile la pagina degli scandali. Anche se non possono essere del tutto assimilati al gruppo degli insabbiatori, i membri del “clan degli italiani” vorrebbero a loro volta un conclave rapido, temendo che gli stranieri li assimilino alla curia e alle sue malefatte.

È il caso, in particolare, del cardinale Angelo Scola, grande favorito prima dell’esplosione dello scandalo Vatileaks. L’arcivescovo di Milano, a metà strada tra i purificatori e gli insabbiatori, conserva comunque le sue possibilità in questa elezione molto aperta (bisogna ottenere i due terzi dei suffragi), dove sono regolarmente citati come “papabili” il canadese Marc Ouellet, l’austriaco Christoph Schonborn e l’arcivescovo di Boston Sean O’Malley.

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