Per dieci minuti è andata così: alle nostre spalle, il drappello di manifestanti cantava slogan contro il design colonialista, alla faccia della polizia e della pioggia; davanti a noi, due cristoni sostenevano impietosi che senza invito non si entrava. Intrappolati in quel limbo, vagamente a disagio, abbiamo puntato su una tattica infallibile: l’imitazione del bassett hound abbandonato sulla Salerno-Reggio Calabria il 15 agosto a mezzogiorno.

Alla fine le porte della galleria di Pierre Bergé & Associés, al Grand Sablon, si sono schiuse anche per noi. Quella sera s’inaugurava la mostra “Promisedesign - New Design from Israel”, già passata per Milano, Parigi e la più oscura Valette-du-Var. Nonostante le premesse, non era una mostra politica. O meglio, non lo era una volta superato il corridoio. Perché lì, piazzato pericolosamente vicino al passaggio di calze e pantaloni, ci aspettava il seguente oggetto:

L’ha ammesso anche uno dei designer presenti all’inaugurazione, Oded Shorer: tra gli oggetti esposti, An outline for a hanging garden di Nati Shamia Opher era l’unico politicamente connotato. “Il cactus”, spiegava il catalogo, “è una metafora complessa e ambivalente dell’ebreo moderno: spinoso fuori e dolce dentro, come i fichi d’India”.

Ma di cactus è pieno anche l’immaginario palestinese, e anche lì con una certa ambivalenza. Per Mohammed Al Hawajri, che alla pianta ha dedicato il progetto “Cactus Borders”, permette di esprimere la violenza esercitata dagli israeliani. Per l’artista Rana Bishara, invece, è da sempre il simbolo della resistenza del suo popolo, come spiega in questo video:

http://www.youtube.com/watch?v=CDfb5ffPb1c

Oltre a essere apolitici, gli altri oggetti di design erano spesso molto belli (e si possono vedere tutti online). Stavo ammirando gli sgabellorigami in alluminio di Ran Amitai quando una voce stentorea ci ha riportati alla realtà del cactus: “Signori e signore, sono stato rinchiuso nelle carceri israeliane e se sono qui ora non è per criticare gli artisti e i designer, ma per denunciare il governo di Israele, che…”. L’azione non è durata molto: con la consueta malagrazia, tre agenti si sono affrettati a trascinare via l’attivista. Ely Rosenberg, che ha curato la mostra insieme a Vanni Pasca, sembrava sinceramente stupito. “Sono dieci anni che organizzo mostre di designer israeliani e non mi era mai successa una cosa del genere…”.

Sarà stato un caso. Ieri dei militanti del movimento Avaaz hanno installato una gigantesca bandiera palestinese davanti al Consiglio e alla Commissione, esortando i paesi europei a riconoscere la Palestina. I designer disegnano, i governi dovrebbero fare scelte coraggiose.

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