15 gennaio 2014 10:42

Aggiornamento: Bâteau ivre sarà proiettato a Roma giovedì 15 maggio alle 20h30 al Piccolo Apollo. La proiezione sarà seguita da un incontro con il regista Claudio Capanna e lo scrittore Amara Lakhous (più informazioni sulla pagina dell’evento). L’articolo che segue era stato pubblicato in occasione di una precedente proiezione alla Cineteca di Bologna.

Dal 1832 un canale attraversa quasi inosservato Bruxelles, scivolando lungo il fianco nordoccidentale del centro storico. Chi prende il tunnel Léopold II lo supera senza neppure accorgersene. Il canale di Charleroi è l’unico corso d’acqua visibile della città da quando, nella seconda metà dell’ottocento, il fiume Senne fu coperto, eppure rimane un elemento poco familiare dello spazio urbano, come poco familiare è la vista di Bruxelles che si ha dalle sue acque. Le chiatte si muovono lente al ritmo delle chiuse (o meglio: al ritmo dei manovratori delle chiuse, costretti a volte a correre da una postazione all’altra), svelando desolati paesaggi postindustriali, fabbriche in rovina, depositi e cantieri, e tutto appare nuovo, velato di mistero.

Bâteau ivre (2012) di Claudio Capanna e Chafik Allal si apre in questo universo fluido e spaesante, e fluido è anche il genere del film, a metà tra documentario e finzione. La trama è semplice: un insegnante di francese per stranieri decide, durante una gita sul canale, di analizzare Cuore di tenebra con i suoi studenti. L’insegnante è l’attore Jean-Michel Vovk, gli studenti un gruppo di immigrati che i due registi hanno conosciuto attraverso un’associazione che organizza corsi di di alfabetizzazione per stranieri. La lezione si trasforma ben presto in sermone sul colonialismo: l’insegnante, ossessionato dalle colpe passate e presenti dell’occidente, s’illude di trovare un riscatto illuminando le vittime ai suoi occhi inconsapevoli dei rapporti tra Nord e Sud. Lezione come esercizio di potere, come nuova forma di violenza “civilizzatrice”, contro la quale gli studenti finiscono per ribellarsi. Il piano narrativo, concentrato nello spazio angusto del battello, è interrotto da lunghe riprese del paesaggio, accompagnate da una voce femminile rivolta all’insegnante (sua figlia? la sua coscienza?), specchio sonoro delle sue contraddizioni.

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Bateau Ivre Bande Annonce from Claudio Capanna on Vimeo.

Un tema simile è trattato, in modo più convenzionale e meno sfumato, nel film del 2011

También la lluvia di Icíar Bollaín (disponibile online). Un giovane regista, Gael García Bernal, è in Bolivia per girare una ricostruzione dell’arrivo di Cristoforo Colombo in America e delle violenze che segnarono la scoperta del nuovo mondo. Come l’insegnante di Bâteau ivre, vuole che le comparse locali capiscano quella violenza, che la rivivano attraverso il film, ma incontra lo stesso rifiuto. Accecato dall’ambizione, non vede il filo che attraverso i secoli collega l’oppressione dei colonizzatori a quella, più sottile, riprodotta dal suo progetto artistico e dalle sue velleità di denuncia.

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“È importante vedere in Bâteau ivre la storia di una deriva”, spiegava Claudio Capanna nel 2012 in un’intervista al quotidiano algerino Liberté. “Deriva di un modello, di un paesaggio, di una ricerca che diventa anche la deriva di un essere umano, bianco e intellettuale”. Deriva ed ebbrezza di un certo pensiero occidentale, pronto a riconoscere il proprio fallimento a patto di essere il solo a poterlo formulare.

Bâteau ivre è in programma oggi alle 19h30 alla Cineteca di Bologna. La proiezione sarà preceduta da tre episodi della web serie Lettere italiene e seguita da un incontro con Claudio Capanna, Jonathan Ferramola (direttore di Terra di Tutti Film Festival), Francisca Rojas (poetessa), Akio Takemoto e Darien Levani (due degli autori di Nuove lettere persiane).

Francesca Spinelli è giornalista e traduttrice. Vive a Bruxelles e collabora con Internazionale. Su Twitter: @ettaspin

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