Allora, il calendario di Cannes a Roma lo trovate [qui][1], oppure [su Facebook][2]. Quello di Milano invece [qui][3]. Peccato che tra i film annunciati in un primo tempo non ci sia La danza de la Realidad che segna il grande ritorno alla regia di Alejandro Jodorowsky.

[Salvo][4] di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza - Italia/Francia (Semaine de la Critique)

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Ci sono però i film che hanno vinto La Quinzaine des Réalisateurs, tra cui il film di Singapore [Ilo ilo][5] di Anthony Chen, vincitore, come potete leggere [qui][6], della Camera d’or, cioè il premio trasversale a tutte le sezioni del festival che viene dato ad un opera prima. E il vincitore de La Semaine de la critique, l’italiano Salvo del duo Grassadonia-Piazza ancora senza distributore in Italia (!!). Anche il sottoscritto ne approfitterà per recuperarlo. Suggerisco pure di recuperare, come me, il nuovo film d’animazione (che vede anche attori in carne ed ossa come Harvey Keitel) di Ari Folman anche lui proveniente dalla selezione della Quinzaine con il fantascientifico The Congress. Ricordate Valzer con Bashir? Questa volta Folman ha diviso rispetto alla quasi unanimità raggiunta con Valzer. Ma forse è una ragione di più per vederlo. Un solo film proveniente dalla sezione Un Certain Regard: La Jaula de Oro di Diego Quemada-Diez in compenso è un gioiello a nostro avviso, ma che al 90% non uscirà. Presto la recensione nel superblog.

[The Congress][7] di Ari Folman - Germania/Israele/Polonia/Lussemburgo/Francia/Belgio (Quinzaine des réalisateurs)

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Ripropongo un avvertenza ripresa dal [post precedente][8] , prima di lasciarvi alle recensioni di Touch of Sin, vincitore a Cannes del premio per la miglior sceneggiatura, e La vie d’Adèle, la Palma d’oro che a Roma sarà proiettata domenica:

*quest’anno Cannes a Roma si è fatto, in ritardo, grazie all’impegno dei privati e di sponsor volenterosi come Il Fatto Quotidiano e La Nottola perché il comune di Roma, nella persona del sindaco uscente Gianni Alemanno, è scappato.

Ed ecco [qui][9] la recensione di La Vie d’Adèle.

[La Vie d’Adèle – Chapitre 1&2][10] di Abdellatif Kechiche – distribuzione italiana: Lucky Red

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Vi invito inoltre a non perdere il lungometraggio che apre oggi la rassegna a Roma,* A Touch Of Sin* del cinese Jia Zhang-ke, uno dei pochi maestri del cinema odierno, riconosciuto a livello internazionale, ma ancora semi-sconosciuto da noi: un film molto personale, molto profondo, soprattutto molto umano e molto d’avanguardia assieme, come ho cercato di spiegare nel post da Cannes (tra l’altro A Touch Of Sin ha anche vinto il nostro mini-referendum tra critici, una cosa che ha sorpreso anche me, come potete constatare andando [qui][11]), purtroppo postato nel week end, quando siete tutti al mare o in montagna.

Ed ecco [qui][12] la recensione di A Touch of Sin.

[A Touch of Sin][13] di Jia Zhang-ke - distribuzione italiana: Officine blu

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Passiamo ad altro.

Oggi ci sarà il verdetto della Commissione Europea di Bruxelles sulla questione della cosiddetta eccezione culturale. La Francia, portando con coerenza alle estreme conseguenze la sua politica inaugurata dal fondatore della Quinta Repubblica, cioè dal generale De Gaulle e dal suo Ministro della Cultura André Malraux – un gigante della cultura del Novecento – vent’anni fa elaborò un modello che riuscì ad imporre ai suoi partner europei e agli Usa. Il concetto, cioè, che produrre cultura, compresa quella audiovisiva, non è uguale a produrre padelle. Con tutto il rispetto per i produttori di padelle. E quindi nell’organizzazione mondiale del commercio, si fece “eccezione” appunto su questi prodotti.

**Oggi la Francia è sola. **E senza i presidenti carismatici di una volta. Se passa oggi questo concetto, allora è molto probabile che tutta Europa diventerà, cinematograficamente parlando, come l’Italia: cioè un eterno Giorno della Marmotta (avete presente il film Ricomincio da Capo con Bill Murray dove quest’ultimo si sveglia ogni mattino rivivendo sempre lo stesso giorno?): il nuovo film dei Coen, il nuovo film di Almodovar, il nuovo film di Tim Burton, e così all’infinito…E questa è forse un previsione ottimistica. Perché in realtà questa politica mette talmente in pericolo le cinematografie nazionali, da rendere non più cosa certa anche la visione (e la produzione stessa) dei film di un Almodovar.

Si è cercato di fare una grande pressione in questi giorni sui governi europei – In Inghilterra, in Francia, in Germania – e su quello italiano (che come sempre, come minimo, va sollecitato e mai che sappia pensarci da solo su queste questioni) per sensibilizzarli a non cedere al ricatto americano. Ovviamente sappiamo che questo è un governo di coalizione, oltretutto con un magnate monopolista nell’audiovisivo, e che quindi il ministro Bray è da solo. Ma questo aggrava la posizione del PD e del presidente Letta. Lo si vorrebbe veder prendere la questione culturale al pari di quella del lavoro, saper sfidare, e far ragionare, il Pdl anche su questo. Il PD ha più forza dopo le amministrative, quindi anche meno alibi.

Tornando all’appello, oltre ai tanti registi europei di rilievo – da Pedro Almodovar a Michael Haneke – sono gli americani che fanno cinema di qualità a esser contro questa politica di ulteriore omologazione culturale. Da Steven Spielberg a David Lynch.

Proprio Lynch, quando fu presidente della Giuria a Cannes all’inizio del 2000 disse che avvertiva un impigrimento da parte del pubblico, favorito dai media, spesso anche quelli più insospettabili, nell’accettare opere imprevedibili, davvero vicine all’arte, come ad esempio 81/2 di Fellini (o film di Jodorowsky, come La Montagna Sacra). Vedeva solo la Francia far fronte con lucidità a questo progetto di omologazione. Gli americani, nel produrre film sempre più brutti e riciclaggio del riciclaggio di idee formali e di contenuto stravecchie, come dei cheeseburger Mc’Donalds cotti e ricotti, hanno infatti ormai la necessità di piallare le cinematografie altrui per rientrare nei costi. La cosa è stata ampiamente studiata, da dossier critico-giornalisti alle università.

Questa ideologia omologatrice del gusto e delle identità, è in realtà un pericolo anche per chi negli Usa cerca di costruire un cinema diverso, magari pure ad alti budget e con effetti speciali, come un Spielberg. O un James Cameron.

Allora la domanda da porre ai politici italiani deve essere alta e senza scampo: perché l’Italia non dovrebbe essere il paese che guida la cultura in Europa, facendo propria in maniera definitiva la questione dell’eccezione culturale, insieme alla Francia? Nel nostro paese si sono creati momenti fondamentali della cultura europea e Occidentale. Come ho già scritto, è solo quando si tocca il fondo che si trovano le energie innovative per risalire al meglio.

Lo hanno notato in molti: noi siamo ancora un po’ prigionieri, nel bene e nel male, della cultura classica, del Rinascimento in particolare, di momenti fondamentali precedenti all’unificazione italiana. Ma il cinema italiano, dopo l’unificazione, ha operato nel mondo una rivoluzione della visione e un Rayonnement (con la R maiuscola) del paese che lo produceva, come si dice in francese, con una modalità e un aqualcosa che fa pensare al Rinascimento.

Sarebbe quindi bene che i nostri politici se ne accorgessero. Dopo aver scientemente lasciato distruggere la nostra industria cinematografica (o aver lasciato depauperare il paese dei suoi migliori ricercatori scientifici, per citare un altro campo, come ha più volte denunciato Edoardo Amaldi), che nel ‘68 arrivò a produrre più film di Hollywood. E questo riguarda anche il neo-sindaco della capitale d’Italia Ignazio Marino, personalità che apprezziamo da molto tempo: ha annunciato oggi in un intervista a Repubblica che Roma deve recuperare la sua grandezza internazionale. Questo riguarda anche la cultura. La cultura di creazione, la cultura dei “vivi”, e non solo quella museale. Bene, lo faccia. Siamo stufi – a dir poco – degli annunci-spot.

Qui di seguito riportiamo alcuni stralci da articoli di Repubblica, a firma di Arianna Finos e linko sempre più sotto l’articolo relativo. Ho scelto un giornale italiano e non straniero perché trovo importante la comprensibilità da parte di tutti, anche di chi non conosce le lingue; perché trovo importante quello che viene detto sull’industria cinematografica italiana; e perché mi permette, si perdoni l’immodestia, di fare un esortazione: Repubblica aveva prima pubblicato, in data 5 giugno, un articolo più piccolo nella pagina degli spettacoli, e poi l’articolo in questione, in data 11 giugno: una pagina intera che apriva la pagina degli spettacoli. E con il richiamo in prima pagina. Mi permetto quindi anche di dire: ecco bisogna fare così. Magari non sarebbe male investire del dibattito le pagine culturali. E non sarebbe male nemmeno qualche breve editoriale nei paginoni dei commenti, se non in prima pagina. In Italia c’è conformismo e fatalismo come constatano diversi stranieri.

Ed ecco gli stralci.

Daniele Lucchetti: “Se i 27 aboliscono l’eccezione culturale, l’industria audiovisiva europea è destinata a sparire nei prossimi cinque anni”.

Giuseppe Tornatore: “questa non è la lotta di registi che difendono i privilegi. Siamo un industria che in Europa costituisce il 4,5% del Pil, in Italia l’audiovisivo fattura 15,5 miliardi di euro. Che non sottrae risorse, ma crea lavoro e la possibilità, per il pubblico, di rispecchiarsi in una identità culturale specifica. La salvaguardia della diversità culturale è uno dei valori fondanti dell’Europa”.

Ancora Lucchetti: gli Usa, “chiedono il permesso di entrare nel mercato europeo con la delicatezza di un panzer dicendo: ‘però voi potete entrare con i vostri cristalli nel nostro recinto di elefanti’”.

I fratelli Dardenne: “E’ paradossale vedere i nostri colleghi americani, Harvey Weinstein e Steven Spielberg, adoperarsi affinché l’Europa non distrugga ciò che resta della sua ambizione di diversità e creatività culturale”.

Il resto, cioè il meglio (in particolare quel che dice Gabriele Salvatores sulla partita gigantesca delle piattaforme on-line), lo potete leggere qui. E la lettera d’accompagnamento del regista inglese Alan Parker, presidente della Federazione Europea Realizzatori dell’Audiovisivo, invece qui.

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