02 settembre 2015 11:21

“Alle prime ore di questa mattina è stato trovato defunto nella sua abitazione in Vaticano sua eccellenza mons. Józef Wesołowski, già nunzio apostolico”. Si chiudeva così, lo scorso 28 agosto, la vicenda dell’ex diplomatico polacco sotto processo in Vaticano con l’accusa di aver abusato sessualmente di diversi minori nella Repubblica Dominicana (Wesołowski in realtà era stato ridotto allo stato laicale dalla Congregazione per la dottrina della fede, per questo nei comunicati successivi spariva il lapsus di quel “monsignore” contenuto nella prima versione della notizia diffusa alla stampa).

Fin da subito il Vaticano ha reso noto che il decesso era avvenuto per “cause naturali”, ma il corpo è stato comunque sottoposto ad autopsia. Così, nel comunicato seguente, la Santa sede faceva sapere che “gli accertamenti sono stati effettuati e, dalle prime conclusioni tratte dall’esame macroscopico, risulta confermata la causa naturale del decesso, riferibile ad evento cardiaco”. Un infarto insomma ha chiuso uno dei casi più clamorosi e drammatici legati allo scandalo pedofilia che negli ultimi anni ha scosso la chiesa.

Il rito funebre per l’ex nunzio, celebrato all’interno delle mura vaticane, è stato affidato all’elemosiniere del papa (quello che porta aiuti ai senzatetto della capitale da parte di Bergoglio), padre Konrad Krajewski, polacco anch’esso, che ha chiuso una celebrazione senza omelia e ridotta al minimo con le seguenti parole: “Signore cancella con il tuo amore i peccati che per la fragilità umana il nostro fratello ha commesso in questa vita”. Sulla vicenda è sceso il silenzio, ma il sipario è calato solo a metà. La morte improvvisa, il mancato processo, la sensazione che un capro espiatorio avesse alla fine pagato oltre che per le sue colpe – certo pesanti – per responsabilità più diffuse, continuavano ad aleggiare nell’aria.

Diplomatico di lungo corso

La pressione a cui era stato sottoposto l’ex arcivescovo del resto era fortissima, la sua immagine usciva deturpata da una storia obiettivamente orrenda. Tuttavia in ambienti vaticani si temeva soprattutto la possibile rivelazione, nel corso del processo, di scenari e coinvolgimenti inconfessabili. Tutto questo, ora, resta sepolto nell’ambito delle ipotesi e delle illazioni: il caso in qualche modo è chiuso e quella dell’ex nunzio è stata indubbiamente una morte perfetta.

Wesołowski, con una lunga carriera diplomatica alle spalle, dall’America Latina all’Asia, era accusato di diversi tipologie di reati commessi dal 2008 fino al 2014 in particolare nella Repubblica Dominicana, l’ultimo incarico ricoperto come ambasciatore della Santa sede. Tra questi c’era l’abuso su minori – c’erano le testimonianze di almeno cinque vittime – e poi veniva contestato all’ex arcivescovo il possesso di un immenso archivio pedopornografico, ancora attivo quando Wesołowski era stato richiamato in Vaticano.

La sequenza dei fatti non ha seguito un andamento tanto lineare come sembra a prima vista

Contro di lui nei sacri palazzi era cominciato un inedito processo penale aggravato dall’inasprimento delle pene in materia di abusi sessuali voluto da papa Francesco e comprendente non a caso il possesso di materiale pedopornografico. Così l’ex nunzio è stato prima richiamato a Roma, poi ha subìto un processo canonico che ha portato alla sua riduzione allo stato laicale, quindi ha preso il via il procedimento penale ed è stato sottoposto agli arresti domiciliari.

La sequenza dei fatti, però, non ha seguito un andamento tanto lineare come sembra a prima vista: in un primo tempo infatti è emerso il problema delle richieste di estradizione provenienti dalla Repubblica Dominicana e dalla Polonia, poi lo stesso (ex) monsignore è sparito dalla circolazione per essere poi avvistato a passeggio per le strade di Roma da un altro prelato che ne dava notizia via Twitter; quindi Wesołowski era sparito di nuovo, dentro il Vaticano stavolta, mentre il suo diventava un caso internazionale del quale si interessavano anche le Nazioni Unite.

Domande rimaste in sospeso

Alla fine, l’11 luglio scorso, doveva finalmente prendere il via l’atteso processo. Ma, a sorpresa, neanche in questa occasione Wesołowski era apparso in pubblico: aveva accusato un malore – aveva fatto sapere il promotore di giustizia vaticano, l’avvocato Gian Piero Milano – e per questo era stato ricoverato presumibilmente al Gemelli di Roma dove era rimasto diversi giorni per accertamenti. Un’udienza durata in tutto sei minuti è dunque quanto rimane di un caso giudiziario che avrebbe potuto fare epoca.

Wesołowski era stato infatti ordinato prete da Karol Wojtyła quando questi era arcivescovo di Cracovia. Sempre Wojtyła – stavolta da papa – lo aveva consacrato vescovo. Inoltre l’ex nunzio aveva percorso in lungo e in largo diverse nunziature del mondo, come funzionario o come titolare della sede. Le domande che in molti si sono posti fin dall’inizio di questa storia sono destinate a restare senza risposta: è credibile pensare che Wesołowski si sia comportato nello stesso modo anche in precedenza, cioè prima di ricoprire l’incarico di nunzio nel piccolo stato caraibico?

Possibile che nessuno, né a Roma né nelle chiese locali, sapesse? E in caso contrario, di quali coperture ha goduto, visto che i nunzi dipendono dalla segreteria di stato? Il suo caso era isolato o faceva parte di una serie di episodi simili nei quali erano coinvolti altri sacerdoti? Esisteva una rete di pedofili “protetta”, come è successo anche in altri ambienti?

Su molte delle più oscure vicende interne alla chiesa ha pesato come un macigno l’ipoteca della guerra fredda

Wesołowski indubbiamente faceva parte di quella sorta di clan polacco che si era costituito in Vaticano nei circa 27 anni di pontificato di Wojtyła (morto nel 2005 e canonizzato da Bergoglio nel 2014); tuttavia, per comprendere il contesto nel quale matura il suo caso, bisogna fare un passo indietro: su molte delle più oscure vicende interne alla chiesa, sugli scandali non rivelati, su insabbiamenti e storie di ricatti, ambizioni e sesso – che ci sono stati come in ogni grande struttura di potere – ha pesato come un macigno l’ipoteca della guerra fredda.

Le ragioni di un conflitto superiore, infatti, hanno permesso di mettere la sordina a molte vicende e condotte scandalose, governi e stati hanno chiuso gli occhi a lungo, il confronto est-ovest di fatto ha avuto la precedenza su tutto (considerato poi che il papa polacco ne è stato un protagonista).

Non a caso è nei decenni successivi alla caduta del muro di Berlino che dall’Irlanda agli Stati Uniti, dalla Polonia alla Germania all’Italia, lo scandalo degli abusi sessuali commessi dal clero è esploso in modo clamoroso, provocando una crisi profonda e di difficile soluzione all’interno della chiesa. Inevitabile, poi, che l’insieme di queste vicende abbia delle ripercussioni sul presente riaprendo ferite antiche.

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