17 giugno 2016 12:07

Cinque stelle? Ma no: zero stelle. È questa la cifra che ha preceduto e accompagnato la nazionale italiana di calcio agli Europei francesi, e che tutto sommato finì per adattarsi anche agli sfortunati mondiali in Brasile due anni fa. Una squadra senza divi, impostata sul collettivo e sulla sostituibilità praticamente di tutti. Gli azzurri se la vedono oggi pomeriggio alle tre con una nazionale che è, in questo senso, al suo opposto.

L’“Italia di Conte”, leggiamo sui giornali che attribuiscono appunto questa squadra al commissario tecnico, contro la “Svezia di Ibrahimović”. E quest’ultimo non è il ct ma – come sa anche chi non segue il calcio – un giocatore, che a rigore costituirebbe un undicesimo della sua squadra. Ora, senza usare Google, dite come si chiama il ct della Svezia, su. O altri tre giocatori svedesi.

Zlatan Ibrahimović, attaccante a sette stelle, divide con pochi altri calciatori di Euro 2016 quelle caratteristiche che distinguono il pur bravo attore dal divo. Per esempio guadagna da solo più di tutti i suoi compagni messi insieme (ct compreso). Per esempio, se si fa male e non gioca, i titoli dei giornali sportivi si concentreranno su questo fatto. In più l’attaccante della Svezia può permettersi asserzioni dirette e sbruffone, da dare in pasto a giornalisti e tifosi: “È impensabile guardare questi Europei senza di me in campo”, ha detto di recente, e in un’imperdibile intervista a Le Monde ha affermato: “Posso rendere popolare anche Hollande, se voglio. Ma non so se ho voglia”. L’ha detto, sì. Pensate se lo dicesse uno degli azzurri: Giaccherini o Chiellini o Candreva. Sai le pernacchie, no? E forse una pernacchietta, prima o poi, se la meriterebbe anche Ibra, tutto sommato. E forse succederà, vedremo.

Cosa distingue, poi, un buon giocatore, o anche un campione, da un divo? Tanti gol? Sicuro (Ibra ha segnato otto delle dodici reti con cui la Svezia s’è qualificata al torneo), ma non basta; e anche le qualità tecniche non bastano. In questo il calcio non è dissimile da altri intrattenimenti di massa, come il cinema o la musica pop. Attori eccellenti, Gary Oldman o Kevin Spacey tanto per dirne un paio, non avranno mai la stessa popolarità di Leonardo DiCaprio. Non siete d’accordo? Dite che la popolarità è un criterio aleatorio e non si può misurare? Va bene: andate in un negozio di poster (esistono ancora?) e chiedete un poster di Gary Oldman. O chiedete quanti poster di Gary Oldman sono stati venduti negli ultimi quindici anni.

Le squadre senza divi risultano spesso più allegre, ma spesso anche più efficienti

Ugualmente, in un qualunque negozio del centro di Roma, quelli che abbondano di ricordi della capitale da riportarsi a casa (esistono), tra gli oggetti più venduti c’è la maglia numero dieci della Roma con su scritto Totti. E Totti a Euro 2016 non c’è nemmeno. Provate, in quei negozi, a chiedere se hanno la maglia azzurra di Giaccherini. Insomma, il divismo si accompagna a una sua estetica espansiva, che comprende l’attribuzione di nomignoli o, come nel caso del campione svedese, ipocoristici, cioè l’uso di una parte del nome per rappresentarlo tutto: Ibrahimović -> Ibra, cosa che non avviene nel caso di Chiellini (tanto per lasciare in pace il solito Giaccherini).

Avere un divo in squadra conviene? Senz’altro a livello economico: un solo Ibrahimović o Totti attira ricchi sponsor per le squadre, sponsor che tassativamente pretendono poi di vedere in campo e ben servito proprio quel giocatore. Al livello di risultati conviene un po’ meno: gli ultimi due Europei li ha vinti la Spagna, e se sostenete che Iniesta o Piqué sono “divi” la discussione può diventare molto lunga.

Ancora prima, nel 2004, gli Europei li vinse la Grecia. Gli ultimi Mondiali li ha vinti la Germania, solidissima squadra, che basa tutt’ora la sua forza proprio sul fatto di non avere prime donne. Quelli che “o gioco in attacco o me ne vado”, per capirsi. Quelli che tolgono il sonno ai dirigenti. Quelli che dicono una cosa e tutta una città gli va dietro per mesi, anche i candidati a sindaco, per fare un esempio ancora più osé.

Le squadre senza divi risultano spesso più allegre, ma spesso anche più efficienti. Forse questo discorso non funziona solo nel calcio, ma non dilunghiamoci. Il ct della Svezia, per concludere, si chiama Erik Hamrén.

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