È stato un atto da far impallidire Massimiliano Cencelli, l’anziano democristiano inventore del complesso sistema matematico per spartirsi “equamente” le poltrone. Allora non si sapeva neanche se il curriculum fosse il nome di una nuvola o di una spezia orientale. Ma la partitocrazia ha dimostrato di considerare ancora il vecchio manuale Cencelli come una bibbia qualche giorno fa, in occasione della nomina dei componenti delle authority.

Prima ha invitato tutti gli interessati a mandare un curriculum. Lo hanno fatto in novanta, tra loro alcuni insignificanti principianti come Gustavo Zagrebelski, Valerio Onida o Stefano Rodotà. Poi i tre partiti che sostengono il governo Monti sono stati travolti dal loro istinto primordiale e hanno seppellito quell’odioso guizzo di meritocrazia.

E così la casta ha deciso di ignorare quell’inutile pacchetto di biografie. In quattro e quattr’otto il dermatologo Antonello Soro si è ritrovato membro dell’Autorità garante della privacy assieme alla leghista Giovanna Bianchi-Clerici, laureata in lingue orientali e ad Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa. Il fervente berlusconiano ed ex dirigente Mediaset Antonio Martusciello è stato piazzato all’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

Ovviamente sono tutti personaggi rigorosamente indipendenti, come prevede la legge. Un clamoroso omaggio dei partiti al loro nemico giurato Beppe Grillo. Certo, tra i politici l’allergia contro quella strana invenzione del curriculum è una malattia endemica che nessun medico è mai riuscito a curare. È parte ineliminabile del loro dna. E in politica (almeno in quella italiana) la competenza è considerata un elemento assai dannoso per la carriera. Lo prova il caso (unico al mondo) di un ministro della repubblica passato dal dicastero dell’agricoltura a quello della cultura, una specie di salto triplo dal campo di lattuga al Colosseo. L’artefice di questa capriola, Giancarlo Galan, è stato coerentemente sostituito da Saverio Romano, avvocato siciliano che non sa distinguere tra carote e cavoli, ma con il grande merito di essere un voltagabbana. Definizione che nel curriculum parlamentare viene coperta con sigle misteriose tipo “gruppo misto, già Ir”.

E qui arriviamo alla vera nota dolente: la distinzione tra biografia ufficiale, ufficiosa, autocertificata o truccata. Prendiamo il caso di un parlamentare qualsiasi: Maurizio Grassano, che ha sostituito il leghista Roberto Cota alla camera. Il curriculum ufficiale ci informa che è “componente della commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti”. Tace il fatto che Grassano è stato condannato a quattro anni per truffa aggravata ai danni del suo comune, Alessandria. La pagina ufficiale di Montecitorio ci fa inoltre sapere che Grassano fa parte della commissione esteri. Ma censura il fatto (insignificante) che il parlamentare

in un’intervista non ha saputo dire la capitale dell’Olanda (“Tulipano”), del Portogallo e della Turchia.

È la prova lampante che il curriculum è un’invenzione inaffidabile. Spesso indirettamente proporzionale alla carriera: quelli che presentano quei curricula lunghi, noiosi e pieni di termini inglesi indecifrabili sono spesso disoccupati. Quelli che si accontentano di due righe scarne fanno una carriera brillante. Ne è prova il curriculum di Maurizio Gasparri. Lo prendiamo da Wikipedia : “Figlio del generale dei carabinieri Domenico Gasparri e di Iole Siani, Maurizio Gasparri è stato parlamentare del Movimento sociale italiano dal 1992 al 1994. Ha un fratello, Clemente, generale di corpo d’armata, attuale vice comandante generale dell’Arma dei carabinieri”. E giù la lunga sfilza di incarichi politici. Meriti? Nessuno, a prescindere dalla sua abilità di passare da una poltrona all’altra. È stato nominato ministro per le comunicazioni da Berlusconi. Competenza? Nessuna. Tanto doveva solo difendere Mediaset. Pensatore colto e preparato, è il prototipo dell’uomo politico imparziale che si dedica agli interessi della comunità. Curriculum? Semplicemente superfluo. Carriera? Brillante.

Dimenticavo: lo stesso giorno del voto sulle authorithy il senato ha salvato dalla galera Sergio De Gregorio, accusato di associazione a delinquere, truffa e false fatturazioni per 23 milioni. Atto deplorevole che il senatore Felice Belisario dell’Italia dei valori ha condannato come “vergogna inqualificabile”. Forse l’Idv, quando ha candidato De Gregorio (che è passato subito nelle fila del Cavaliere), si era dimenticata di studiare il suo curriculum? In questo caso sarebbe bastato addirittura guardare il personaggio. E probabilmente il partito super legalista di Di Pietro aveva smarrito anche i curricula dei vari Scilipoti e Razzi, quando li ha messi in lista?

Che la smania del curriculum sia dannosa, lo prova il caso del trota: a che gli serviva la laurea albanese dopo essere già stato eletto nel consiglio regionale della Lombardia? Si è rivelata la classica buccia di banana. Poteva imparare dal padre. Il senatur la sua presunta laurea in medicina l’ha festeggiata sì tre volte. Ma non è stato così fesso di inserirla nel curriculum. Probabilmente non sapeva neanche cosa fosse quell’invenzione diabolica…

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