18 maggio 2013 16:24

Mentre l’Italia affonda nella recessione, il Pdl ripropone la famosa “legge bavaglio” contro le intercettazioni. Un testo scritto su misura per Silvio Berlusconi che la popolazione non ritiene certo prioritaria. È un atteggiamento apparentemente irrazionale, ma che riflette precisamente la schizofrenia dei partiti italiani verso le riforme. Che non devono servire alla collettività ma ai bisogni dei partiti e sono concepite come strumento di lotta politica.

Lo dimostra l’assurda legge elettorale, varata per impedire alla sinistra di governare e palesemente contraria agli interessi del paese. In Italia le riforme condivise, che in altri paesi si realizzano, sono un rara eccezione. Perfino le riforme costituzionali sono state varate con pochi voti di scarto, come quella del capitolo V che il centrosinistra ancora rimpiange. Per anni destra e sinistra dopo le elezioni hanno immediatamente cancellato le leggi varate dagli avversari politici.

L’Italia è un paese in cui le riforme si chiedono solo a parole. Tutti invocano da anni misure contro l’evasione, ma quando il governo decide controlli più severi, piovono le proteste. Seri progetti di riforma vengono puntualmente svuotati o cancellati in parlamento, com’è successo con la legge contro la corruzione. Gran parte delle poche riforme attuate negli ultimi anni sono parziali, viziate di ideologia e difficilmente attuabili, come la Bossi-Fini. Perfino blande liberalizzazioni, come la “lenzuolata” di Bersani, hanno provocato la massiccia resistenza di alcuni ordini professionali.

Vengono invece continuamente rinviate con metodi ben collaudati le riforme sollecitate dalla maggioranza degli italiani. Prima regola: istituire una commissione per approfondire il problema. Così è stato fatto per la riduzione dello stipendio dei parlamentari. Una commissione presieduta dall’allora direttore dell’Istat Enrico Giovannini doveva mettere a confronto i trattamenti economici dei parlamentari dei più importanti paesi dell’Unione europea e individuarne la media. Dopo otto mesi la commissione ha gettato la spugna, perché “i paletti posti dal governo erano troppi”.

È surreale: mentre un robot si muove su Marte e trasmette immagini nitidissime dal pianeta rosso, una commissione di esperti non riesce a calcolare lo stipendio medio dei parlamentari Ue. È ovvio che sarebbe stato molto più semplice dimezzare lo stipendio di 13mila euro mensili che incassano deputati e senatori. Ma non era certo questa l’intenzione del parlamento, che ha promesso di “completare nel più breve tempo possibile il percorso avviato nel luglio del 2011”. Da allora non ha mosso un dito. Nessuno si autoriduce lo stipendio volontariamente.

E finiranno così anche le proposte dei saggi nominati da Napolitano. Tra loro e i saggi chiamati dal ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder per ridisegnare in profondità il welfare c’è una differenza sostanziale: il governo tedesco aveva garantito di attuare le proposte senza tagli. Per questa riforma epocale Schröder è stato punito dagli elettori. Una spiacevole disavventura che i parlamentari italiani preferiscono evitare.

Meglio proporre cose ben note come il condono edilizio invocato da Francesco Nitto Palma. Che lo possa chiedere il presidente della commissione giustizia del senato, la dice lunga sulla incontenibile voglia di riformismo del bel paese.

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