Cosa si deve pensare di Kony 2012? Come milioni di persone ho guardato anche io il video prodotto dall’ong Invisible Children, e diventato in pochi giorni un fenomeno virale su Internet?

Il filmato, un clip di mezz’ora, denuncia i crimini commessi dal capo della Lord Resistance Army (Lra), un gruppo paramilitare nato in Uganda e attivo in Africa centrale, e vuole fare pressione sull’opinione pubblica affinché spinga i governi a intervenire per consegnare “il nemico pubblico mondiale numero uno” al Tribunale penale internazionale. Invisible children chiama l’opinione pubblica mondiale a comprare il suo kit e, il 20 aprile, a “spargere per il mondo l’impellenza di finirla con l’Lra”.

La mia prima impressione è stata che il filmato è certo efficace, ma semplifica molto le cose ed è anche ingenuo e manicheo sotto molti aspetti, come ha scritto David Rieff. L’ho anche trovato un po’ troppo pop per un argomento così serio e troppo leccato e grafico per un documentario. E ha un tono moralista e totalitario — ”devi pensare come ti stiamo dicendo, se no sei cattivo” — che è difficile da sopportare. Ma questa è la forma, e a essa mi sono fermato, perché, se pure sapevo chi fossero Joseph Kony e l’Lra, in particolare dopo aver letto il magistrale reportage di Jonathan Littell tradotto da Internazionale, non avevo molti altri elementi.

Poi però ho avuto l’occasione di discuterne con due persone che sono state professionalmente in contatto sia con i ribelli dell’Lra che con le loro vittime, nei posti dove Joseph Kony ha compiuto le sue scorribande. Approfitto di questo spazio per riferire le loro impressioni, che in buona parte concordano.

Lily è un’operatrice umanitaria che si occupa tra l’altro di “recuperare” i bambini soldato arruolati di forza dall’Lra, sostiene che, se “è meglio parlare di Kony che della montagna di sciocchezze di cui la gente si occupa di solito”, il filmato mostra che “la propaganda da due soldi può fare di più, in termini di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, del lavoro serio degli umanitari e della loro comunicazione”, pur avendo “un lato imperialista e moralista”.

Le sue riserve sono dovute anche al fatto che, “sul terreno, alcuni sono convinti che Invisible Children sia finanziato dalla Cia per spingere il governo Usa a finanziare altri interventi ‘umanitari’ nella regione”. Inoltre, aggiunge, “il fatto di nominare delle persone nel filmato — minori o ex soldati dall’Lra — le mette in pericolo”.

Claudio è un esperto indipendente in materia di disarmo e traffico di armi che ha lavorato tra l’altro per l’Onu in Rdc, Sudan e Uganda. “In sé, l’iniziativa è lodevole, se si considera che punta a mantenere l’attenzione dei mezzi d’informazione e della politica su questioni reali, gravi e relativamente poco seguite dai politici come dall’opinione pubblica”, dice. I fenomeni descritti — reclutamento forzato dei bambini, saccheggi, assassinii — “sono tremendamente veri e, nella maggior parte dei casi, coperta da una totale impunità”.

Eppure, aggiunge, “alcuni aspetti del filmato sono criticabili”: anzitutto, “il messaggio è troppo semplicistico. Far credere alla gente che l’arresto di Kony avrà un’influenza diretta sulle dinamiche regionali o locali è una bugia. L’unica conseguenza è che si sarà aggiunto un mattoncino — uno solo — alla costruzione della giustizia internazionale. Una giustizia internazionale l’evoluzione della quale sta cominciando a tormentare i protagonisti di alcuni conflitti, che si chiedono se un giorno non dovranno affrontare dei ‘problemi venuti da fuori’”.

In secondo luogo, aggiunge, “il vero obiettivo di Kony 2012 non è chiaro: fermare Kony o l’Lra? Mantenere un livello di pressione dell’opinione pubblica tale da spingere le autorità americane a continuare ad assistere militarmente l’Uganda? Come? Con quale programma?” Poi, spiega, “il racconto contiene numerose imprecisioni, o perché delle informazioni sono datate o perché sono presentate in modo scorretto”. Fra queste ultime, quelle secondo cui Kony “non è sostenuto da nessuno”: “Kony gode del sostegno di Khartoum, come hanno confermato alcuni ex ufficiali dell’Lra”.

Falso anche che non ci sia coordinamento degli sforzi per catturare Kony: secondo Claudio “dal 2009, è in corso un’operazione congiunta degli eserciti ugandese, congolese, centrafricano e sud-sudanese”. Falsa poi l’affermazione secondo la quale la questione dell’Lra non ha incidenza sugli interessi strategici degli Stati uniti: “se hanno dispiegato dei soldati in Uganda per appoggiare la caccia a Kony è perché hanno interessi strategici nella regione, in particolare in Sudan e nel Sud-Sudan, e da lì in Somalia, una regione dove ci sono petrolio, guerriglie, cinesi e ribelli fondamentalisti”. Falso infine che l’Lra agisca essenzialmente in Uganda: “se Kony e suoi vice sono in effetti ugandesi, dal 2008 tutti gli attacchi e i casi di reclutamento forzato sono avvenuti in Repubblica democratica del Congo, in Repubblica centrafricana e nel Sud-Sudan”.

In conclusione, Kony 2012 inaugura un nuovo modo di sensibilizzare le persone ai drammi del mondo perché la spinge a reagire dicendo loro in sostanza che, se non fanno qualcosa sono cattive. Un quasi ricatto morale che non indaga sulle cause del fenomeno che denuncia e non lascia molto spazio alla riflessione né all’approfondimento — e in fondo alla democrazia. Per questo ho qualche riserva. Se poi, grazie alla mobilitazione suscitata da Invisible Children, da qui alla fine dell’anno Kony si ritrovasse all’Aia, sarò felice di mangiarmi il cappello.

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