Insieme all’energia nucleare, alla sanità pubblica e alla République, la scuola è una delle istituzioni del loro paese di cui i francesi sono più orgogliosi e che considerano come fondamentale per la loro identità nazionale.

Una manifestazione di insegnanti e studenti a Parigi, il 19 maggio. (Francois Mori, Ap/Ansa)

Proprio per questo i vari governi hanno tentato di lasciare la propria impronta introducendo riforme volte a tenere il passo con i mutamenti della società e della pedagogia. E regolarmente, come spesso accade quando vengono introdotte delle riforme in Francia, si sono scontrati con forti resistenze, in particolare da parte degli insegnanti.

L’ultima riforma, elaborata dalla ministra Najat Vallaud Belkacem, riguarda la scuola media, o collège come la chiamano qui, non fa eccezione: annunciata a marzo, è stata accolta con una volata di critiche da parte dell’opposizione (e fin qui tutto regolare), ma anche di numerosi intellettuali (chi ha detto che sono tutti di sinistra?). Questi ultimi contestano in particolare l’abolizione delle classi europee e bilingui – in cui le lezioni vengono svolte sia in francese sia in un’altra lingua (quasi sempre in tedesco) – che vengono sostituite dall’insegnamento obbligatorio di una seconda lingua fin dalla seconda media, invece che dalla terza. Tra i critici, l’ex premier Jean-Marc Ayrault, noto germanista.

Criticata anche l’abolizione delle opzioni latino e greco, considerate, come l’insegnamento del tedesco, “troppo elitarie” dal governo: le sceglie solo il 20 per cento degli alunni. Vengono sostituite da un “insegnamento pratico interdisciplinare”, nel quale gli insegnanti sono invitati a mettere in piedi progetti comuni intorno a otto tematiche definite dal ministero stesso, tra cui “Lingue e culture dell’antichità”, ma anche “Sviluppo sostenibile”, “Mondo economico e professionale” eccetera. Un sistema già in vigore in diverse scuole medie su iniziativa degli insegnanti stessi, ma la cui sistematizzazione è contestata dai docenti. La fine delle classi bilingui viene criticata da insegnanti e genitori perché considerata come “una delle poche cose che funzionano” nelle medie, ricorda Le Monde, che sottolinea come alcuni politici hanno invece denunciato la rinuncia all’eccellenza che comporta l’abolizione dell’insegnamento delle lingue morte.

Tra le misure cardine della riforma, l’interdisciplinarietà consente (o impone, a seconda dei punti di vista) alle scuole medie di dedicare autonomamente il 20 per cento del tempo di insegnamento a dei corsi complementari di tre tipi diversi: lavoro in piccoli gruppi, accompagnamento personalizzato degli alunni o insegnamento interdisciplinare. Gli insegnanti temono che venga così dato troppo potere ai presidi, mentre diversi storici, come Pierre Nora o Jean-Pierre Azéma, hanno denunciato il fatto che alcuni temi del corso di storia diventino facoltativi. Un aspetto che ha scatenato sui social network lo spettro dell’insegnamento dell’islam a scapito di quello della storia occidentale “cristiana” (in particolare dal capo dell’opposizione Nicolas Sarkozy), mentre in realtà sia l’illuminismo sia l’eredità cristiana rimangono tra i temi obbligatori (come l’islam in seconda media), ricorda ancora Le Monde.

Per Najat Vallaud-Belkacem si è trattato della “prova del fuoco”, sottolinea Le Parisien, che ricorda che la trentasettenne ministra, bersagliata dalle critiche dell’opposizione, gode del pieno sostegno del premier Manuel Valls, del presidente François Hollande e della ministra dell’ambiente Ségolène Royal, di cui era stata portavoce durante la sfortunata campagna presidenziale del 2007. Vista la modesta partecipazione degli insegnanti allo sciopero e alle manifestazioni indette per il 19 maggio (50 per cento di scioperanti secondo i sindacati e poche migliaia di persone in piazza a Parigi e ancora meno nelle altre città) alla vigilia della pubblicazione del decreto, che entrerà in vigore a settembre 2016, la prova sembra essere superata. Per il momento.

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