13 maggio 2020 13:22

Di cosa ha paura il centrosinistra israeliano quando si parla di annessione della Cisgiordania? Perché l’Unione europea e altri paesi fingono indignazione di fronte a questa prospettiva imminente?

L’annessione è sempre stata presentata come la madre di tutti i disastri, ma dobbiamo smettere di averne paura, e anzi darle il nostro beneplacito. Si sta dimostrando l’unico modo di uscire dall’impasse, l’unica possibile scossa in grado di mettere fine al disperato status quo nel quale ci siamo impantanati e che non può più portare niente di buono.

L’annessione è chiaramente un premio intollerabile per l’occupante e una punizione ignobile per l’occupato. Legittima i crimini più gravi e affossa il più giusto dei sogni. Ma l’alternativa è persino peggiore. Renderebbe eterna l’attuale situazione criminale, che continua da tempo. E creerebbe una realtà di apartheid, che in effetti esiste già da qualche tempo.

Ma l’annessione metterebbe anche fine alle menzogne, e imporrebbe a tutti di fare davvero i conti con la realtà. E la verità è che l’occupazione non è destinata a scomparire, e che non c’è mai stata l’intenzione di fare altrimenti. Si è già creata una situazione irreversibile, con circa settecentomila coloni, compresi quelli di Gerusalemme Est, che non saranno mai trasferiti. E senza il loro allontanamento ai palestinesi non resteranno altro che bantustan: né uno stato né la caricatura di uno stato.

È questo che temono i nemici dell’annessione: senza un processo legale e dichiarato è possibile che si continuino a coltivare per sempre pie illusioni. L’annessione minaccerebbe l’ingannevole esistenza dell’Autorità palestinese, che continua a comportarsi come se fosse uno stato libero ormai prossimo a ottenere una sovranità. Ma anche quella dei sostenitori della pace in Israele, che continuano a credere che esista ancora la possibilità di una soluzione dei due stati. E dell’Unione europea, che ritiene che sia sufficiente emettere delle (ferme!) condanne contro Israele, e poi starsene seduti senza fare niente contro l’apartheid, finanziandolo e rendendolo possibile, e poi lodando i “valori comuni” che ha con Israele. L’annessione metterebbe alla prova coloro che negano la realtà, e che non sono mai stati messi alla prova in vita loro. Per questo occorre essere a favore dell’annessione nonostante l’ingiustizia e i disastri che questa probabilmente creerà. A lungo termine, il prezzo da pagare sarà meno oneroso di quello dell’attuale situazione.

È proprio il più fiero oppositore dell’annessione, l’esperto del conflitto israelo-palestinese Shaul Arieli, che ne ha meglio descritto i vantaggi. In un articolo pubblicato sull’edizione in ebraico di Haaretz il 24 aprile, Arieli ha sottolineato che con l’annessione l’Autorità palestinese crollerebbe, gli accordi di Oslo verrebbero cancellati, l’immagine d’Israele verrebbe danneggiata e probabilmente comincerebbe un nuovo ciclo di sangue. Questi sono pericoli che non vanno presi alla leggera ma, dice, “fare il passo dell’annessione infliggerebbe un duro colpo agli elementi di bilanciamento dell’attuale situazione e minerebbe il loro fragile equilibrio”. E cosa potremmo chiedere di meglio, Shaul Arieli? La stabilità creata dall’occupazione, la sua routine consolidata, sono i più grandi nemici di qualsiasi speranza di mettervi fine. Non c’è bisogno di essere un anarchico o un marxista per cogliere l’opportunità latente che si trova in questa terribile visione. L’annessione è, dopo tutto, più reversibile degli insediamenti: la politica d’annessione potrebbe, un giorno, trasformarsi in democrazia.

Ci siamo preparati a un colpo del genere. È la nostra ultima speranza. Chiunque conosca Israele sa che non c’è alcuna possibilità che il paese si svegli una mattina e, di sua spontanea volontà, dica: l’occupazione non è una cosa buona, finiamola. Chiunque conosca i palestinesi sa che non sono mai stati così deboli, isolati, frammentati e privi di qualsiasi spirito battagliero. E chiunque conosca il mondo sa quanto è stanco di questo conflitto. E così Israele si farà avanti e, con l’incoraggiamento dei noti custodi della pace a Washington, farà riemergere dal torpore questa realtà: annessione. Anschluss. Nelle colline e nelle valli, nella zona C e alla fine in tutta la Cisgiordania.

Con nessuno determinato a garantire pari diritti ai palestinesi, Israele dichiarerà se stesso uno stato di apartheid. Due popoli, uno con pieni diritti e l’altro con nessuno: dal parlamento alle Nazioni Unite. È troppo ingenuo o ottimistico credere che la maggior parte del mondo non rimarrebbe silenziosa, e così anche un gran numero d’israeliani? Esiste un’alternativa realistica? E quindi, smettiamo di avere paura e lasciamo che annettano.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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