14 luglio 2016 12:20

Alton Sterling, un nero ucciso il 5 luglio dalla polizia in Louisiana; Philando Castile, un altro nero ucciso il 6 luglio sempre dalla polizia in Minnesota; cinque poliziotti, uccisi il 7 luglio da un nero a Dallas durante una manifestazione pacifica contro la violenza della polizia. Tre giorni in America, tre episodi di violenza, tre video girati con lo smartphone, messi online su Facebook e visti in tempo reale da milioni di persone in tutto il mondo.

Interrogarsi sulle immagini, sulla loro diffusione e sul loro effetto, non è un esercizio fine a se stesso, un passatempo che riguarda solo giornalisti o esperti. Negli Stati Uniti gli utenti di Facebook sono più 150 milioni. Secondo uno studio del Pew research center, s’informa su Facebook la maggioranza degli americani adulti: il 62 per cento. Era il 49 per cento nel 2012.

Dall’inizio dell’anno sono 123 i neri uccisi dalla polizia negli Stati Uniti. I video terribili dell’uccisione di alcuni di loro sono un importante strumento di denuncia e sono indispensabili per accertare la verità, ma la loro ripetizione ossessiva sui social network ha come unico effetto quello di desensibilizzare l’opinione pubblica. È l’opinione di April Reign, una giornalista afroamericana che in un articolo sul Washington Post ha parlato di un effetto di “disumanizzazione del corpo dei neri”. Secondo Reign, questi video non servono neppure a far cambiare idea ai tanti ancora convinti che non ci sia un problema razziale negli Stati Uniti.

Ma non tutti sono d’accordo. Usare un telefono per far vedere delle immagini in diretta è l’equivalente moderno dello sventolare una bandiera rossa, il segnale che sta succedendo qualcosa di molto grave, ha scritto Alex Wagner sull’Atlantic. Ed è anche un atto d’accusa contro le istituzioni il cui compito è, o dovrebbe essere, documentare quello che succede. Per esempio i mezzi di informazione. Lo smartphone “è l’ultima arma nelle mani di persone emarginate o espulse da un sistema che invece dovrebbe aiutarle e proteggerle”, scrive Wagner.

“Non esco di casa senza essere sicuro di avere il mio telefono ben carico”, ha spiegato Jeffery Robinson, attivista dei diritti civili: “Per gli afroamericani è come un testimone: quando sei a terra e stai morendo dissanguato, almeno la tua famiglia e i tuoi amici sapranno che non è stata colpa tua”.

Questo articolo è stato pubblicato il 15 luglio 2016 a pagina 5 di Internazionale, con il titolo “Testimone”. Compra questo numero| Abbonati

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