07 novembre 2014 15:48

Sono anni, questi: basta una modifica nel funzionamento di WhatsApp per far rimpiangere a molti i bei tempi che furono delle lettere, dei francobolli, del novecento, della privacy e perfino dei fumi delle prime fabbriche.

Qualcuno più semplicemente ha nostalgia della versione precedente dello stesso WhatsApp, qualcun altro dà la stura al malanimo apocalittico contro l’invadenza della tecnologia.

È successo che il servizio di messaggistica comprato per 19 miliardi di dollari da Facebook, da ieri permette a chi ha inviato un messaggio di vedere se è stato letto e quando. Ecco alcuni titoli di giornali: “Perché le nuove spunte blu ci rovineranno la vita” (Panorama); “Doppia spunta blu per i messaggi letti. Critiche: Privacy uccisa” (Il Fatto Quotidiano); “Arriva la spunta blu col suo carico di ansia da notifica” (Il Secolo XIX).

E alcuni ragionamenti di contorno, con obbligo di citazione da Roland Barthes: già i messaggi istantanei avevano ucciso il discorso amoroso degli sms, che a loro volta avevano seppellito la magia delle lettere, che a loro volta avevano fatto dimenticare i messaggi nelle caverne.

La privacy e l’amore e anche le nostre vite ora sono del tutto rovinate: come si fa a non rispondere a un amante che ti ha appena scritto che ti ama, o che ti desidera, ovvero che almeno vorrebbe mangiare una pizza assieme? Come si può evitare il messaggio di un capo dopo le dieci di sera? E quello di un genitore?

Ci sono già moltissimi articoli che spiegano come farlo. Ci sarebbe anche un trucco da quattro soldi: non leggere il messaggio, o addirittura fregarsene. Del resto è già successo con la chat di Facebook. A un certo punto sotto ciò che scrivevamo spuntava la notifica “visto alle”. Anche in quel caso ci fu chi immaginò un falò di diritti, libertà, privacy.

Col tempo abbiamo appunto imparato a fregarcene, a dare per sottinteso senza troppi drammi che se non abbiamo risposto – o se non ci hanno risposto – è perché non era possibile, o non se ne aveva voglia. E che se consideravamo quelle non-risposte come un tormento indicibile, probabilmente bisognava interrogarsi su quanto rovinata fosse già la nostra vita.

Giuseppe Rizzo è un giornalista del sito di Internazionale.

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