25 giugno 2015 12:17

Fa una certa impressione rivedere Todo modo nell’edizione restaurata in dvd dalla Cineteca di Bologna, edito da Mustang e distribuito da CG Entertainment. È un film diretto e scritto da Elio Petri nel 1976, un virulento attacco alla Democrazia cristiana e in generale al sistema di potere cattolico e alla sua penetrazione in tutti i gangli dello stato. Ha i pregi e i difetti dell’opera di Petri, ma senza raggiungere la forza di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto.

Indagine è del 1970, quindi a ridosso del ’68, mentre Todo modo viene subito prima del ’77. Sono anni che sembrano ormai lontanissimi, e a ricordarlo è constatare quanti di quelli che lavorarono a Todo modo sono morti, e da tempo: Marcello Mastroianni, Gian Maria Volonté, Michel Piccoli, lo stesso Petri, e tanti degli attori secondari e del cast tecnico del film. Compreso l’autore del romanzo da cui il film era tratto, Leonardo Sciascia, il più grande degli osservatori della società e del sistema di potere italiani e del loro degrado, il più acuto di tutti, molto più di Pasolini, molto più di Calvino, molto più di Bobbio.

Nello stesso anno di Todo modo anche Francesco Rosi, morto di recente, portò sullo schermo un romanzo di Sciascia, Il contesto, nel film Cadaveri eccellenti. Il contesto era uscito nel 1971, Todo modo, il romanzo, nel 1974. Aldo Moro, cui il personaggio interpretato da Volonté si ispirava, morirà nel 1978, ucciso dalle Brigate rosse, due anni dopo il film di Petri. E davvero dalle immagini di Todo modo e di Cadaveri eccellenti si sprigiona un senso di morte che riguarda l’Italia di quegli anni, la crisi e fine di un sistema politico cui fece seguito – e non fu una soluzione migliore – una classe dirigente meno ipocrita e più spregiudicata, più aggressiva e perfino più egoista, anticipata da Craxi ed esplosa con Berlusconi e con la morte per suicidio, tra un compromesso e l’altro, della sinistra. La fine di un sistema sulla cui ceneri è sorto un sistema perfino peggiore.

Vedere Todo modo è dunque un modo di ricordare, con una forte dose di angoscia per chi ha vissuto intensamente quegli anni prendendo partito, un periodo funereo e cupo della nostra storia, la fine di un mondo. Ma, come si diceva proprio in quegli anni, “a film politico, giudizio politico”. Nel film di Petri lo sprofondamento narrativo nella vischiosa e melmosa stagione finale della Dc ha, molto più che in Sciascia, la cupezza di una danza macabra, di un funerale sanguinoso e catacombale. Fino al grottesco, fino a una sorta di delirio metafisico sul potere che, criticando il “cattolicesimo reale” della dirigenza democristiana, ne accentua allo spasimo gli elementi mortuari.

Petri sapeva di esagerare e voleva esagerare, spingersi al massimo del rifiuto e del disgusto, pur se in qualche modo affascinato dalla mostruosità di un sistema di potere che era il marchio di una storia, di una società e in definitiva di qualsiasi potere stabilito, era l’inevitabile decorso del potere, era la sua cancrena. Qui la cancrena si esprime nel ritiro spirituale-politico dei dignitari democristiani (mentre fuori, all’aperto, nel mondo, infuria un’epidemia che a quella cancrena corrisponde) ed è simile a quella che ogni potere esprime nel suo massimo spingersi dopo il trionfo, di cui è anzi un segno, quando non è più lo spirito di conquista a far da collante, il fronte si scompagina, il marcio dilaga e le “correnti” si sbranano tra loro.

Non è un film lucido, non è un’analisi da sociologo o da storico quella che Petri si proponeva, ma una rappresentazione della cancrena con i modi di una visionarietà più medioevale che moderna: furiosa e vorticosa, e in definitva estranea allo spirito ostinatamente volterriano di Sciascia. Lo stesso accadeva con Cadaveri eccellenti di Rosi, altrettanto metafisico e altrettanto, in definitiva, poco politico, o meglio poco utile politicamente a una comprensione che spingesse a una reazione attiva e consapevole. Così mi parve all’epoca e così continuo a pensare oggi.

Mi chiedo che effetto può fare la visione di Todo modo a un giovane di oggi, cresciuto in anni senza più sinistra e perfino senza più Dc. Tra i meriti del film c’è quello di un Mastroianni in un ruolo molto diverso dai soliti, bravissimo e durissimo, e di una musica morriconiana per una volta non invadente, quasi casta. Tra i demeriti io metto un’interpretazione di Volonté più untuosa e caricata del necessario e una scenografia esasperata. Sta per uscire un libro su Petri curato da Alfredo Rossi che contiene molte testimonianze sul regista compresa la mia, che a Petri ho voluto bene anche quando non ero d’accordo con lui, come lui a me.

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