14 febbraio 2018 12:57

Tutto è cominciato, come accade spesso di questi tempi, con un tweet di Donald Trump. Frustrato dalla sua incapacità di affossare l’Obamacare, l’estensione della copertura medica statale negli Stati Uniti, Trump se l’è presa con una manifestazione contro la riduzione dei fondi del Servizio sanitario nazionale britannico (Nhs), che si è svolta a Londra il 3 febbraio, per scagliarsi contro l’idea generale di sanità universale finanziata con le tasse e fornita gratuitamente ai cittadini.

“I democratici sostengono la copertura sanitaria pubblica [negli Stati Uniti] mentre migliaia di persone stanno marciando nel Regno Unito perché il loro sistema è quasi al verde e non funziona”, ha twittato Trump. La cosa ha messo in imbarazzo la premier britannica, la conservatrice Theresa May, la quale cerca di evitare di criticare Trump e ha quindi lasciato che fosse il suo ministro della sanità, Jeremy Hunt, a rispondere.

Hunt ha risposto con un tweet in cui, pur dicendosi in disaccordo con alcune delle opinioni dei manifestanti, sostiene che “nessuno di loro vuole vivere in un sistema [come quello degli Stati Uniti] nel quale 28 milioni di persone non hanno copertura… Sono fiero di appartenere al paese che ha inventato la copertura universale, dove tutti ricevono cure indipendentemente dal loro conto in banca”.

Un dibattito statunitense
È vero. La popolazione britannica è sempre più anziana e ha bisogno di più cure mediche, ma negli ultimi sette anni i governi conservatori non hanno aumentato il bilancio dell’Nhs. Il risultato è che molte persone sono insoddisfatte dei crescenti ritardi con cui ricevono assistenza, ma l’Nhs è l’istituzione più amata del Regno Unito. Nemmeno una persona su cento vorrebbe sostituirla con un sistema privatizzato e fondato sulle assicurazioni.

Negli Stati Uniti da sempre imperversa un acceso dibattito tra sostenitori della sanità pubblica e privata, con i repubblicani che cercano costantemente di ridurre la quota di servizi sanitari pagati con le tasse federali e statali (attualmente circa la metà). Ma una simile controversia non esiste altrove.

Gli statunitensi spendono pro capite il doppio dei britannici per la salute. Eppure il sistema pubblico britannico garantisce risultati migliori

Qualsiasi altro paese sviluppato possiede un sistema sanitario pubblico. In uno studio condotto su undici paesi dallo statunitense The Commonwealth fund e pubblicato la scorsa estate, gli Stati Uniti sono risultati ultimi in termini di sicurezza, accessibilità economica ed efficienza. Il contrasto è particolarmente acuto nelle differenze tra gli Stati Uniti e il Regno Unito.

Gli statunitensi spendono pro capite il doppio dei britannici per la salute. La spesa per i servizi sanitari equivale a un impressionante 17,2 per cento del pil statunitense, contro il 9,7 per cento di quello britannico. Eppure il sistema britannico garantisce risultati migliori: l’aspettativa di vita alla nascita è di quasi tre anni superiore nel Regno Unito (81,4 anni rispetto ai 78,8 negli Stati Uniti).

A onor del vero, non è solo l’Nhs a permettere ai britannici di vivere più a lungo. Sono anche meno obesi degli statunitensi (il 23 per cento degli adulti britannici ha un indice di massa corporea di oltre il 30 per cento, negli Stati Uniti sono il 32 per cento). Il tasso di omicidi negli Stati Uniti è cinque volte superiore a quello del Regno Unito. Ma anche se la durata della vita media fosse identica nei due paesi, gli statunitensi pagherebbero comunque il doppio per gli stessi risultati.

L’esempio dell’India
La realtà è che non esiste alcun dibattito: la copertura sanitaria pubblica è meglio. Dal momento che metà delle immense spese sanitarie degli Stati Uniti va ad aziende orientate al profitto come le assicurazioni, esiste una lobby potente e incredibilmente ricca che lotta per tenere viva la controversia pubblico-privato negli Stati Uniti. Altrove, anche in paesi molto poveri, non c’è alcun dibattito. Come in India, per esempio.

Questo paese, che da poco ha superato la Cina diventando il paese più popoloso del mondo, è ancora relativamente povero (anche se la sua economia cresce oggi a un ritmo di oltre il 7 per cento annuo). Il 1 febbraio, il ministro delle finanze Arun Jaitley ha annunciato una nuova iniziativa governativa che fornirà ai cento milioni di famiglie più povere (circa mezzo miliardo di persone) fino a 7.800 dollari all’anno per coprire le spese di ricovero in ospedale in caso di gravi malattie.

“Sarà il più grande programma di sanità pubblica del mondo”, ha dichiarato al parlamento. “Il governo procede stabilmente e con convinzione verso l’obiettivo di una copertura medica universale”. Le persone hanno già cominciato a chiamarlo “Modicare” (in riferimento al primo ministro Narendra Modi) e il progetto ha più di una somiglianza con l’Obamacare.

Oggi l’India spende solo l’1 per cento del suo pil per la sanità. Rimane quindi molta strada da fare e, come sempre accade in India, la parte più difficile sarà mettere in pratica il programma, soprattutto nelle aree rurali (gli ospedali pubblici gratuiti sono perlopiù nelle città).

Test diagnostici, visite di controllo dai medici, farmaci essenziali (come le statine per i disturbi cardiaci o i controlli del diabete) e le cure postoperatorie sono esclusi dal piano da 1,7 miliardi di dollari. Ospedali e cliniche private non sono ancora sottoposte a una regolamentazione adeguata, e spesso sono eccessivamente care. Le famiglie povere alle prese con gravi malattie spesso finiscono nelle mani degli strozzini, e anche negli ospedali pubblici è spesso necessario ricorrere alla corruzione per ricevere cure adeguate.

Eppure, la direzione da prendere è chiara. Forse tra due decenni l’India avrà un servizio sanitario universale come l’Nhs. In altre parole, amatissimo.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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