08 ottobre 2018 10:25

“L’universo è piuttosto grande”, ha detto una volta Carl Sagan. “Sarebbe un orrendo spreco di spazio se ci fossimo solo noi”.

I parametri dell’equazione di Drake, usata per stimare il numero di civiltà extraterrestri nella nostra galassia, si stanno poco a poco raffinando. L’esistenza di forme di vita e lo sviluppo dell’intelligenza da qualche parte nell’universo sembra possibile.

Ci sono addirittura buone ragioni per sperare che qualche civiltà molto evoluta a livello tecnologico ed energetico superi con successo la dicotomia tra energia e ambiente che sta affliggendo la nostra civiltà. Ma sono poche quelle che ce la fanno, e molte quelle che collassano.

L’equazione di Drake è stata scritta dall’astronomo e astrofisico statunitense Frank Drake nel 1961. La formula prevede sette fattori.

I primi tre, ancora incerti nel 1961, erano: il tasso medio annuo con cui si formano nuove stelle nella nostra galassia; la frazione di stelle che hanno dei pianeti; il numero medio di pianeti in grado di ospitare la vita.

Oggi conosciamo abbastanza bene questi fattori e i dati sono piuttosto incoraggianti. In media nasce una stella all’anno, la maggior parte ha dei pianeti e circa una stella su cinque ha nel suo sistema uno o più pianeti che presentano acqua sulla superficie. Significa che probabilmente solo nella nostra galassia ci sono circa cento miliardi di pianeti in grado di ospitare la vita. Ma questo è solo un punto di partenza.

Quanti pianeti potrebbero ospitare la vita? Circa diecimila miliardi di miliardi

Come ha scritto Douglas Adams nel suo romanzo Guida galattica per autostoppisti: “Lo spazio è vasto. Veramente vasto. Non riuscireste mai a credere quanto enormemente, incredibilmente, spaventosamente vasto esso sia”.

Il telescopio Hubble ha rivelato l’esistenza di circa cento miliardi di galassie nell’universo. Quanti pianeti potrebbero ospitare la vita? Circa diecimila miliardi di miliardi.

Sui valori degli altri fattori dell’equazione di Drake si sa tuttora poco. Adam Frank vuole sapere quante civiltà non umane sono esistite, ovunque, nell’universo, e i due fattori che gli preme conoscere sono: la frazione di pianeti potenzialmente in grado di ospitare la vita in cui effettivamente essa si sta sviluppando; la proporzione di questi pianeti in cui può svilupparsi una forma di vita intelligente.

Il punto che Adam Frank ha recentemente espresso nel suo libro Light of the stars: alien worlds and the fate of the Earth è che debbano per forza esserci molte “esociviltà”. Per quanto pessimistiche possano essere le previsioni, resta comunque elevata la probabilità di trovare forme di vita intelligente su altri pianeti.

Magari i pianeti dove si sono sviluppate forme di vita intelligente non saranno miliardi e neppure milioni, ma se anche solo un pianeta su un miliardo di miliardi di quelli in grado di ospitare la vita avesse mai dato origine a una civiltà, ce ne sarebbero comunque diecimila. È un dato considerevole per un campione statistico, e quello che a Frank interessa è capire quante di queste civiltà se la sarebbero cavata di fronte alla dicotomia energia-ambiente.

Frank non ha bisogno di conoscere nello specifico queste esociviltà. Tutto quello che gli serve sapere è che tutte le civiltà usano grandi quantità di energia, e che per una civiltà “tecnologicamente giovane” come la nostra c’è un numero limitato di modi di procurarsela.

Modelli di estinzione
Ci sono i carburanti fossili, se il tuo pianeta ha avuto un periodo carbonifero, oppure in caso contrario solo biomateriali infiammabili. Ci sono acqua, vento e maree; energia solare, geotermica e nucleare. Tutto qui. L’uso di energia comporta sempre la produzione di scarti, ma in certi casi si producono meno calore, anidride carbonica e sostanze tossiche.

Quindi, create combinazioni diverse di queste fonti di energia, inseritele nei vostri modelli sperimentali variando anche le condizioni dei pianeti (alcuni pianeti sono più vicini ai loro Soli, altri molto lontani) e fate elaborare al vostro computer qualche migliaio di modelli.

Il risultato sarà che molti di questi modelli prevederanno una crescita incontrollata della popolazione, seguita a breve distanza dall’aumento della pressione sull’ambiente e dalla diminuzione delle capacità del pianeta di offrire sostentamento alla propria popolazione.

A un certo punto, la popolazione preoccupata passa a fonti di energia con meno conseguenze per l’ambiente. Tanti muoiono (fino al 70 per cento), ma dopo qualche tempo la situazione si stabilizza e la civiltà sopravvive.

In altri modelli, la popolazione del pianeta – creature? Esseri viventi? – aspetta troppo prima di cambiare fonti energetiche. Prima o poi tutti decidono di cambiarle, ma chi sceglie di farlo troppo tardi non ce la fa. La popolazione comincia a diminuire, poi sembra trovare un equilibrio per un certo periodo, ma infine si estingue. Nessuno ha mai assistito a qualcosa di simile, ma questo è ciò che i modelli ci raccontano.

Ci sono ancora un sacco di ricerche da fare in questo campo, ma è ormai tempo di chiederci quale di queste strade seguirà il nostro pianeta.

Non saprei dirlo, ma possiamo tenere presente qualche dato. La produzione di greggio è ai massimi storici, il ritmo è di cento milioni di barili al giorno. Stando alle stime dell’Opec si raggiungeranno i 112 milioni di barili al giorno nei prossimi vent’anni. Questa è decisamente la direzione sbagliata.

(Traduzione di Mariachiara Benini)

Leggi anche:

Guarda anche:

  • Clima ostile: una serie di video su come gli abitanti dei paesi di tutto il mondo cercano di adattarsi agli effetti dei cambiamenti climatici.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Abbonati per ricevere Internazionale
ogni settimana a casa tua.

Abbonati