02 settembre 2004 00:00

Sono in treno per Venezia, dove farò un blog giornaliero dalla Mostra del cinema per Internazionale, oltre a una serie di piccole videointerviste. Ma prima di buttarmi nel mondo virtuale del Lido, volevo segnalare un post scritto dal mio amico Tim Parks sul blog della rivista letteraria The New York Review of Books. Il tema è importante, e finora il post ha avuto ancora poca risonanza in Italia.

Sotto il titolo “Tenere l’Italia in ostaggio”, Parks scrive che il messaggio mandato al governo da Silvio Berlusconi è molto semplice: “Votate per la mia immunità, oppure tirerò giù con me l’intero paese”. Secondo l’autore, un profondo conoscitore della situazione italiana e residente a Verona da tanti anni, “quello che è in gioco in Italia oggi è questo: viviamo in uno stato moderno in cui prevale lo stato di diritto, oppure nel territorio feudale di un bandito istituzionalizzato?”.

Se masticate un po’ di inglese, vale la pena

leggere tutto il post. Parks passa da un’analisi del fascino di Berlusconi e del sistema di potere politico-mediatico che ha quasi brevettato, a una riflessione sul mistero del consenso che questo reo (non) confesso continua a riscuotere. Secondo Parks, il successo di Berlusconi, e il fatto che perfino molti dei suoi oppositori politici sono disposti ad ammettere che sì, forse è un tantino perseguitato e andrebbe considerato un caso speciale, “rivela la convinzione diffusa che la politica italiana non sarà mai pulita o leale”. In conseguenza di questo fatalismo, continua Parks, “se Berlusconi sarà escluso dalla vita politica, milioni di italiani vedranno quest’esito non come l’affermazione di uno stato di diritto, ma semplicemente come una battaglia vinta dai loro nemici”.

Quello che Parks dice – anche attraverso una citazione azzeccata di Leopardi – è che, in questo paese, la percezione che la politica è irrimediabilmente corrotta, e la tendenza a schierarsi a priori a favore di una formazione politica o l’altra (quasi fosse una squadra di calcio), sono due facce della stessa medaglia. Una medaglia che non porta impressa, né sulla faccia della testa né su quella della croce, la certezza che un uomo politico che ha commesso un reato grave dovrebbe dimettersi subito, per rispetto verso i suoi elettori, il suo partito, e la società civile del suo paese.

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