23 novembre 2012 17:00

Non ho seguito da vicino la corsa alle primarie del centrosinistra. Le mie nozioni sui principali candidati le ho racimolate qua e là da giornali, dibattiti televisivi, internet. Ma a volte un’analisi un po’ naif può servire per tirare fuori delle analisi più approfondite. Dunque mi butto, sperando che qualcuno mi aiuti a capire meglio il problema, o i problemi, della sinistra italiana, e di arrivare a decidere quale dei candidati in lista sia l’uomo giusto o la donna giusta per risolverli. Non è una questione teorica: io il 25 novembre ho intenzione di votare.

La crisi della sinistra italiana mi pare in parte quella della sinistra a livello mondiale, in parte un problema tutto cisalpino. La sfida più grande a livello mondiale è stata colta con rara precisione dal leader laburista britannico Ed Miliband, che l’ha spiegata in un’intervista al Washington Post: “Bisogna battersi contro un enorme scetticismo sulla capacità dei governi e della politica in generale di fare qualcosa che conti”.

Una manifestazione italiana di questo scetticismo è il consenso raggiunto dal

citizens’ power (o a detta di qualcuno l’anti-politica) di Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle. Anche il successo del centrodestra in Europa in questi ultimi quattro anni di crisi economica, a parte l’eccezione di Hollande, può essere letto sotto l’ottica suggerita da Miliband: molto spesso i partiti di destra sono considerati, a torto, meno “politici” di quelli di sinistra, più simili a un governo tecnico, dunque più propensi ad attuare una politica di tagli o a non schiacciare una fragile crescita. Si tratta di un’illusione ottica: il limited government sostenuto per esempio dal Partito repubblicano statunitense è altrettanto politico dello strong government dei democratici; l’unica differenza è che i repubblicani delegano al mercato il compito di prendere le decisioni che incidono sulla nostra vita quotidiana.

L’elemento prettamente italiano della crisi della sinistra lo trovo meno facile da isolare, forse perché è plurimo. Credo che abbia molto a che fare con i lunghi anni in cui essere di sinistra equivaleva a fare opposizione, con il fatto che in Italia le alleanze a sinistra sembrano ancora più problematiche delle alleanze a destra, con la mancanza in Italia di un grande bacino di floating voters (elettori indecisi) che si fanno persuadere da elezione in elezione ora dal centrodestra ora dal centrosinistra. Ma sono convinto che sia anche un problema inerente alla sinistra italiana, alla sua storia e al ricatto che quella storia esercita sui dirigenti e aspiranti dirigenti di oggi.

Scusatemi se vado di corsa: ci sarebbero molte cose da approfondire su quanto detto. Ma volevo passare a delle riflessioni, in forma di scheda, sui tre candidati alle primarie del centrosinistra che hanno la possibilità maggiore di vincere, con tutto il mio rispetto e i migliori auguri a Laura Puppato e Bruno Tabacci. Faccio finta di spiegare i tre contendenti a un amico inglese che non sa niente di loro.

Pier Luigi Bersani

Attualmente: segretario del Partito democratico.

Slogan: “Il coraggio dell’Italia”.

Messaggio trasmesso dall’home page del suo sito: la famiglia è importante, l’arredo della casa molto meno.

I luoghi comuni: è l’uomo di partito, quello più solido, l’unico dei tre ad avere esperienza di governo nazionale, il legame con la base storica del partito.

Una cosa che dice: “Sanità, formazione e sicurezza devono essere accessibili a tutti”.

Tra i suoi sostenitori: Dario Argento.

Dalla biografia: figlio di un benzinaio, ha studiato filosofia all’università di Bologna e si è laureato con una tesi su papa Gregorio Magno (540-604), quello che il protestante Giovanni Calvino considerò “l’ultimo papa buono”.

Visto dagli altri: “Un politico di carriera, scolorito ma furbo”. (Reuters)

La mia impressione: il suo pensiero politico è meno ingessato di quanto sembri; il problema è che lui rappresenta una partitocrazia ingessata. Per me, un governo Bersani (con D’Alema e Bindi ministri?) rappresenterebbe il vecchio che avanza.

Matteo Renzi

Attualmente: sindaco di Firenze.

Slogan: “Adesso!”.

Messaggio trasmesso da home page del suo sito: mieto consensi, guardate come sono affollati i miei comizi; e se sono rosso, sono anche un po’ azzurro.

I luoghi comuni: è il più dinamico, il Blair italiano, un giovane leader carismatico disposto a dire cose di destra pur di rottamare.

Una cosa che dice: “La politica torni a essere assolvimento di un dovere civico e non una forma di assicurazione economica”.

Tra i suoi sostenitori: Alessandro Baricco.

Dalla biografia: nel 1994, quando era ancora diciannovenne e ancora scout, partecipò a La ruota della fortuna, vincendo 48 milioni di lire.

Visto dagli altri: “Ha messo su uno show come quello che si vedono nelle elezioni statunitensi… Un video sul megaschermo scorreva scene degli ultimi 25 anni: l’ex Jugoslavia, Ronald Reagan, la caduta del muro di Berlino”. (Der Spiegel)

La mia impressione: la proposta c’è, anche se bisogna scavare parecchio sotto l’immagine mediatica per trovarla.

Nichi Vendola

Attualmente: presidente della regione Puglia.

Slogan: “Oppure Vendola”.

Messaggio trasmesso dall’home page del suo sito: modernità (i colori) ma anche appartenenza ad una tradizione di contestazione (le lettere cubitali, le foto di persone che sventolano manifesti con il suo nome sopra).

I luoghi comuni: gay dichiarato, cattolico e comunista, è quello più a sinistra dei tre, che spaventa l’Europa e farà precipitare i mercati.

Una cosa che dice: “La lotta alla povertà e all’esclusione sociale, l’impegno per la conversione ecologica dell’economia sono la proiezione dell’Italia al di là dei confini nazionali, come attore responsabile in Europa e nel mondo”.

Tra i suoi sostenitori: Serena Dandini

Dalla biografia: dopo scuola, a 15 anni, andava a leggere l’Unità ad alta voce agli operai analfabeti.

Visto dagli altri: “Ha più seguaci su Facebook di qualsiasi altro politico europeo”. (Le Monde Diplomatique)

La mia impressione: è quello dei tre con cui mi trovo maggiormente d’accordo politicamente, ma non sono convinto che abbia la padronanza della realpolitik, o l’abilità a tessere alleanze, per sopravvivere a livello nazionale e internazionale. C’è anche una certa arroganza nel suo modo di fare politica che, da presidente del consiglio, potrebbe non giovare all’Italia.

Come vi ho detto, è un analisi piuttosto naif della situazione. Illuminatemi, vi prego. Ditemi che ho sbagliato tutto, che Bersani è il nuovo che avanza, che la sinistra italiana sprizza salute da tutti i pori, che il voto per Tabacci è un voto che conta…

(Foto Reuters/Contrasto)

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