23 febbraio 2006 00:00

Una volta ho partecipato in radio a un programma della Bbc sul tema: “È vero che, rispetto ad altri tipi di testo, i romanzi sono in assoluto la cosa più difficile da scrivere?”. Siccome il programma andava in onda sul terzo canale, la domanda era posta in modo più elegante, però il succo era quello.

Insieme a me c’erano l’autore di una biografia di grande successo, uno studioso che scrive saggi politici e l’editor di una rivista letteraria. Tutti e tre erano in perfetto accordo: la narrativa? Tsé! Le recensioni sì che sono complicate, la poesia è molto più bella e la saggistica è ben più autorevole.

Dato che io rappresentavo i romanzieri, toccò a me farfugliare nel microfono be’… pensate che lavoro c’è dietro a un romanzo, la fantasia che ci vuole per strutturare la trama, per costruire la prosa. “Ma no”, mi risposero in coro. “Devi solo inventare!”.

I motivi che rendono la narrativa così complessa sono tanti, ma – secondo me – il più importante è che un grande romanzo può contenere tutti gli altri tipi di scrittura: bello come una poesia, ricco di verità toccanti come la biografia di un personaggio storico e con tutta la verve drammatica della più avvincente pièce teatrale. Ecco perché credo che i romanzi siano la vetta, il vero e proprio Himalaya della letteratura.

Prima di essere sommersa da lettere inferocite firmate da autori di ogni genere, devo dirvi che ho molto rispetto per tutte le altre forme di scrittura. Ma perfino i poeti e gli autori di teatro più noti mi hanno confessato che già solo il numero di parole necessarie per comporre un romanzo è fuori dalla loro portata. Il punto è che i romanzi sono così… be’, lunghi, e credo che scriverne uno sia più difficile che scrivere qualsiasi altra cosa. Forse è per questo che lo facciamo: pura ostinazione.

Noi romanzieri potremmo vivere perfettamente se non scrivessimo quel che scriviamo. Pensate alle ore che potremmo trascorrere con i nostri cari o a passare l’aspirapolvere in corridoio: quante volte avrei pulito il corridoio se non avessi scritto romanzi? La verità è che il motivo per cui molti di noi lo fanno è lo stesso che spinse George Mallory a scalare l’Everest: “Perché esiste”.

Nulla dà maggior soddisfazione che riuscire nella cosa più difficile di tutte, anche a costo di perdere tutto il resto. Pochi muoiono assiderati mentre scrivono romanzi, però nel frattempo i loro matrimoni vanno in rovina, gli amici vengono trascurati e si abbandonano delle carriere promettenti. Tutto per una sfida e perché la volontà di farcela supera qualsiasi valida ragione contraria.

Ecco perché più si va avanti e più si scrivono libri scadenti: è la legge dei rendimenti decrescenti. Quante volte vi è capitato di restare terribilmente delusi dall’ultimo romanzo di un autore famoso? Il pensiero di solito è: se non fosse stato “lui” non glielo avrebbero pubblicato. Ed è vero. In ogni disciplina artistica il disastro arriva quando l’autore ha la pancia piena.

Quindi rincuoratevi, perché rispetto agli scrittori famosi voi avete dalla vostra un vantaggio indiscutibile. Loro hanno l’esperienza, la soddisfazione di sapere che saranno quasi sicuramente pubblicati e che (forse) guadagneranno anche dei soldi. Ma voi avete qualcosa che a loro manca, e non è una cosa da poco: una straordinaria passione, il sogno, l’innocenza dei primi tempi in cui uno scrive, la convinzione di poter davvero scalare l’Everest. Verrà il momento in cui questi sentimenti dovranno essere incanalati e sorvegliati dalla tecnica, però prima sfruttateli al massimo.

Presto questa rubrica comincerà a fornirvi i rudimenti di base: come stendere una trama e strutturarla, e poi le descrizioni, i dialoghi… ma intanto godetevi il piacere di scrivere senza dover riflettere su quanto poi dovrete lavorare per dare una forma a quel che state buttando giù. All’inizio, quando la cosa più importante è esprimersi, un entusiasmo ingenuo conta tantissimo.

La prossima settimana pubblicherò le vostre spiegazioni sul perché volete scrivere (e perché proprio un romanzo). Intanto continuate a farlo liberamente e con entusiasmo. Alcuni hanno proseguito con la storia del “giorno dopo il mio ottavo compleanno”, altri sono andati avanti con idee diverse. Se siete tra quelli che non hanno ancora un progetto personale, uscite e compratevi un quaderno; poi scriveteci sopra qualsiasi cosa.

In questa fase non dovete censurarvi: fate libere associazioni e liste di parole che vi piacciono. Buttate giù delle descrizioni o una frase sentita di sfuggita. Non soffermatevi a pensare perché lo fate o se sia bello o se un giorno sarà pubblicato.

Più avanti raccoglierete tutto questo materiale “in libertà”, ne scarterete la maggior parte e comincerete il difficilissimo processo di trasformare le perle rimaste in un libro. Per ora invece, se vi va, descrivete il rumore che fa la vostra macchinetta del caffè. Perché? Perché voi potete.

Internazionale, numero 630, 23 febbraio 2006

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