12 ottobre 2006 15:50

È stato divertente leggere le vostre descrizioni meteorologiche. Tempeste di neve e di sabbia, nebbia, caldo opprimente… per non parlare della pioggia: tanta, tantissima pioggia. In alcuni esercizi il clima era allo stesso tempo l’argomento e lo sfondo del testo.

Gayle, per esempio, ha scritto un brano intitolato Il mio rettangolo: “Sdraiata qui, immobile, con il materasso in plastica dell’ospedale sotto il mio corpo privo di forze, quello che vedo del mondo là fuori è quasi soltanto il tempo che fa. Ho un rettangolo di cielo mutevole tutto per me, tagliato in due da una ciminiera luccicante. Sarà quella delle cucine o della lavanderia? Ho un sacco di tempo per perdermi in questi dettagli… continuo a sperare di riuscire a vedere anche il prossimo temporale”.

Il tempo come fattore che provoca nervosismo è un altro tema ricorrente. Paul scrive: “Sono seduto a gambe incrociate, come Buddha, e sto cercando di meditare. Il monaco di fronte a me sembra in trance; forse è abituato a questo caldo soffocante del mezzogiorno. Sento le gocce di sudore colarmi dalla fronte e cadere sulla tunica giallo oro che indosso. Una mosca atterra sulla mia testa rasata e comincia a passeggiare. Reprimo l’istinto di ucciderla: dopo tutto anche lei è una piccola creatura di Buddha, magari è addirittura un antenato (di sicuro, uno molto noioso)”.

In apparenza il brano parla della canicola; il lettore invece è catturato dal ritratto comico e garbato di un ragazzo – me lo immagino pallido e alle prime armi – che tenta di abbandonarsi alla meditazione in un clima per lui inusuale, con risultati niente affatto rilassanti. Spesso i brani più avvincenti sono proprio quelli che sembrano parlare di qualcosa, ma in realtà comunicano tutt’altro. Nel bel mezzo di “questo caldo soffocante del mezzogiorno” s’intravede già una storia.

Molto suggestivi sono anche alcuni brani puramente descrittivi. Kate, per esempio, scrive: “Oggi il grigio è esploso in tutte le sue sfumature. Stanotte è salita la nebbia; strisciava lentamente su dal fiume, si distendeva in lingue sibilanti, ampliando il suo regno impalpabile”. Un’atmosfera altrettanto suggestiva, ma di tutt’altro genere, è quella di Battuta di pesca di Lorraine: “In un afoso pomeriggio di agosto sul greto del fiume dalla pigra corrente, l’aria immobile dell’estate pesava sul suo corpo supino…”.

Quasi tutti i vostri lavori potrebbero migliorare se venissero sfoltiti un po’. Prendiamo questa frase di Vaughan: “Il sole bruciava sull’arida pianura spagnola, seccando il terreno riarso e trasformandolo in polvere o, dov’era rimasta una briciola di umidità, in zolle dure come cemento”. “Arida”, “seccando” e “riarso” ripetono tre volte lo stesso concetto e non sono certa che sia importante sapere da subito che ci troviamo in Spagna.

“Il sole bruciava sull’arida pianura riducendo la terra in polvere o in zolle dure come cemento”. È più breve e dice quasi le stesse cose della prima versione. Anche nel caso del brano sulla nebbia di Kate, che bisogno c’è dell’avverbio “lentamente” e della specificazione “si distendeva in lingue sibilanti”? Provate a toglierli. Si perde sul serio qualcosa?

Più avanti, in una delle prossime puntate, discuteremo della riscrittura entrando più nel dettaglio, ma è meglio se questo trucco lo imparate già adesso. Quindi, per la prossima volta voglio che scegliate un brano del vostro romanzo, contiate le battute e poi le riduciate di almeno un quarto, partendo da avverbi e aggettivi. Tagliare interi paragrafi non vale. Quello che dovete fare è sfoltire frase dopo frase in modo che ogni avvenimento presente nella prima versione sopravviva nella seconda, ma ridotto all’osso.

Poi, per qualche giorno, lasciate tutto da parte. Quando riprenderete il vostro lavoro, rileggete la versione corta. Sono convinta che, dopo un’onesta analisi, troverete questo testo migliore della prima stesura.

Internazionale, numero 662/663, 12 ottobre 2006

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