04 febbraio 2011 19:02

Le proteste che hanno rovesciato il dittatore tunisino Ben Ali dimostrano ancora una volta il potere dei movimenti sociali spontanei nell’era della comunicazione digitale.

Il processo, che in meno di un mese ha abbattuto un regime stabile e solido dal 1987, ha avuto un’evoluzione familiare: un fatto drammatico fa esplodere l’indignazione fino a quel momento trattenuta per paura, porta a manifestazioni che la polizia reprime, e subito le immagini della repressione e i messaggi di protesta si diffondono sui social network.

Così il movimento si amplifica fino a che i mezzi di comunicazione indipendenti – in questo caso Al Jazeera – informano e ritrasmettono le immagini e i messaggi pubblicati dai dimostranti su YouTube e su altri siti. Man mano che si diffonde la protesta, si attivano gli sms, i messaggi su Twitter e su Facebook, fino a costruire un sistema di comunicazione e organizzazione privo di centro e di leader che funziona in modo molto efficace, travolgendo censura e repressione.

Wikirivoluzione

Anche se i governi ormai lo sanno e cercano di censurare internet, cancellando le informazioni da Facebook e bloccando le pagine degli attivisti, quando il potere della rete si scatena è difficile contenerlo. Il collegamento tra i giovani e la cultura di internet è alla radice del nuovo potere popolare: in Tunisia, come in molti paesi musulmani, la metà della popolazione ha meno di 25 anni. Ecco perché possiamo parlare di wikirivoluzione.

Di una ribellione che nasce grazie a una spinta collettiva ma priva di una strategia centrale, che si nutre solo dell’indignazione di migliaia di giovani disposti a rischiare la loro vita. Wikileaks ha effettivamente rivelato i dispacci statunitensi sulla corruzione del regime, ma i tunisini non avevano bisogno di Assange per conoscere la profonda corruzione del loro governo e della famiglia del presidente.

La scintilla che ha fatto scoppiare l’incendio è stata la rabbia nata dalla morte del giovane venditore ambulante Mohamed Bouazizi che si è dato fuoco nella città di Sidi Bouzid. E il suo suicidio è stato un ultimo grido di protesta contro l’umiliazione quotidiana a cui era sottoposto dalla polizia locale. Molti giovani si sono riconosciuti in questo gesto, il suicidio per salvare la dignità, in un paese in cui la disoccupazione giovanile supera il 40 per cento.

Quando la polizia ha occupato Sidi Bouzid la rivolta si è estesa ad altre città arrivando fino a Tunisi. E quando, dopo 72 morti, l’esercito ha ricevuto l’ordine di aprire il fuoco, i comandanti si sono rifiutati di farlo e si sono schierati contro la polizia politica. Man mano che la ribellione si diffondeva, la tv satellitare, che il pubblico preferiva alla pessima propaganda ufficiale, ha cominciato a trasmettere servizi speciali.

A farlo sono stati soprattutto Al Jazeera ma anche la Bbc in arabo, France 24, Al Hiwar e altri canali, conquistando l’attenzione del mondo arabo. Al Jazeera ha raccolto le informazioni diffuse su internet dai cittadini usandole come fonti e ha organizzato dei gruppi su Facebook, ritrasmettendo poi gratuitamente le notizie sui cellulari. Così è nato un nuovo sistema di comunicazione di massa costruito come un mix interattivo tra tv, internet, radio e sistemi di comunicazione mobile. La comunicazione del futuro è già usata dalle rivoluzioni del presente.

La rivolta nasce dalla miseria

Ovviamente non è la comunicazione a far nascere la rivolta. La ribellione nasce nella miseria e nell’esclusione sociale di cui soffre buona parte della popolazione, nella democrazia finta, nell’informazione oscurata, negli arresti di migliaia di persone e nelle torture, nella trasformazione di un intero paese in una tenuta delle famiglie Ben Ali e Trabelsi con il consenso degli Stati Uniti, dei paesi europei e delle dittature arabe.

Ma senza questi nuovi modi per comunicare la rivoluzione tunisina non avrebbe avuto le stesse caratteristiche: la spontaneità, l’assenza di leader, il protagonismo di studenti e professionisti, con i politici dell’opposizione e dei sindacati che hanno dato sostegno a un processo ormai avviato.

C’è di più: la caduta del regime ha avuto come effetto diretto una straordinaria primavera per la libertà di stampa. L’insopportabile Tunisie 7 è diventata la Televisione nazionale tunisina e sta informando con indipendenza, come la famosa radio Mosaique e i giornali più importanti Al Churuk e Al Sarih: i giornalisti hanno cacciato i direttori ed escono con titoli sulla corruzione del regime.

Questa libertà di comunicazione rende difficile per i politici manipolare la transizione. Ogni tentativo di continuità si scontra con un’ondata di informazioni sui nuovi leader che alimenta la protesta popolare, contraria a un cambiamento solo apparente. Anche se, come sempre, gli stessi cani con un collare diverso ma con gli stessi padroni si apprestano a riprendere il potere, la rivoluzione dei gelsomini non sarà così facile da reprimere perché è fondata sulla libera comunicazione.

A saperlo meglio di tutti sono i regimi arabi che sono in allarme. Le proteste scuotono l’Egitto e in altri paesi le manifestazioni si susseguono, internet si riempie di appelli e Al Jazeera conquista un pubblico giovane che sente l’inebriante profumo della libertà.

*Traduzione di Sara Bani.

Internazionale, numero 883, 4 febbraio 2011*

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