10 novembre 2011 16:56

Il capitale finanziario e i suoi manager hanno un problema serio: la gente non li ama. Anzi, molti li odiano. Sono sempre di più le voci che si levano contro i politici, considerati marionette impegnate a proteggere con i soldi dei contribuenti le banche di cui sono in balìa, senza che le banche restituiscano il favore quando le cose vanno bene a loro e male al paese.

Il fatto (dicono le banche) è che i soldi sono dei loro azionisti. Nessuno ci crede: nelle assemblee degli azionisti basta una partecipazione minoritaria di controllo per decidere tutto. Se a questo aggiungiamo gli investimenti incrociati tra banche (le cosiddette love letters) ecco che il sistema si chiude su se stesso, con pochi vantaggi per i cittadini e grandi profitti per i banchieri, che ricevono dei bonus esorbitanti anche quando i loro istituti fanno bancarotta. Di pagare più tasse neanche a parlarne: ci sono i paradisi fiscali.

Ecco perché il movimento Occupy Wall street, nato nel cuore del capitalismo finanziario, si è guadagnato un forte sostegno negli Stati Uniti e nel mondo. L’idea di occupare Wall street nel giorno in cui gli Stati Uniti celebrano la costituzione, il 17 settembre, per protestare contro il controllo della finanza sulla politica è stata seguita da gruppi molto diversi tra loro in tutto il paese.

La manifestazione è stata organizzata su internet e un migliaio di persone si sono accampate a Zuccotti park, vicino al distretto finanziario. Le richieste dei manifestanti erano molte, ma tutti erano d’accordo sulle critiche al sistema finanziario che aveva causato la crisi e che continuava ad avere potere di vita e di morte sull’economia e la politica. Dove non erano arrivati i mezzi di comunicazione tradizionali è arrivata la rete, e l’iniziativa si è diffusa velocemente tra i cittadini, stufi di molte cose, ma soprattutto delle banche.

Quando la polizia è intervenuta, i sindacati statunitensi, che stanno subendo l’offensiva micidiale dei governatori repubblicani e delle grandi imprese, hanno deciso di unirsi al movimento. Il primo ottobre i manifestanti hanno marciato verso il ponte di Brooklyn, e la polizia li ha lasciati fare. Era una trappola: cercavano un pretesto per arrestare centinaia di persone. Ma il comportamento goffo della polizia ha favorito le telecamere e così, per la prima volta, i mezzi d’informazione si sono davvero occupati del movimento.

Si è rotto il muro del silenzio. Il movimento si è diffuso in tutto il paese. Centinaia di città e numerosi quartieri e strade vivono la loro occupazione nello spazio urbano ma anche su un sito che racconta le iniziative quotidiane e si collega ad altre pagine web che tessono una geografia virtuale e spaziale del cambiamento di mentalità nel paese capitalista per eccellenza. L’82 per cento dei cittadini dello stato di New York e il 46 per cento degli statunitensi è d’accordo con le critiche avanzate da Occupy Wall street, mentre il 34 per cento è contrario. Il movimento dice di rappresentare il 99 per cento dei cittadini in contrapposizione all’un per cento che possiede il 20 per cento della ricchezza.

Comincia ad avere un impatto sull’opinione pubblica: il 68 per cento chiede di aumentare le tasse ai ricchi e il 69 per cento pensa che i repubblicani favoriscano i ricchi. Anche Obama è presentato come un prigioniero di Wall street e quindi l’effetto elettorale è incerto, a meno che il presidente non cambi radicalmente qualcosa. Il movimento sta diventando sempre più popolare, le occupazioni aumentano, ed è aumentata anche la repressione della polizia, con centinaia di arresti e cariche più dure.

Il 22 ottobre, a New York, un robusto sergente dei marines tornato dall’Afghanistan si è messo a urlare contro i poliziotti accusandoli di violare gli ideali americani perché stavano attaccando i manifestanti. La polizia non ha osato far niente contro di lui. Tre milioni di persone hanno visto il video. La notte del 25 ottobre la polizia di Oakland ha attaccato l’accampamento di fronte al comune. Un lacrimogeno ha fratturato il cranio del marine Scott Olsen, che partecipava all’occupazione. Il sindaco si è scusato.

Dopo sette settimane le occupazioni si moltiplicano e si rafforzano in tutti gli Stati Uniti. Le banche sono sempre nel mirino. Molly Katchpole, 22 anni, di Washington, ha reagito contro la decisione della Bank of America che pretendeva cinque dollari per le operazioni con il bancomat, una misura che anche altre banche pensavano di introdurre. La ragazza ha pubblicato la sua protesta su internet. In poche ore 300mila persone si sono unite a lei, le banche hanno rinunciato al prelievo e i mezzi d’informazione ne hanno parlato.

Moveon.org, con cinque milioni di iscritti, ha lanciato una campagna per invitare i cittadini a ritirare i soldi dalle grandi banche e depositarli presso le cooperative di credito e le banche comunitarie. Dalla rete alla strada, dalla strada al conto in banca. I manager, che qualche settimana fa brindavano provocatoriamente con lo champagne dalle finestre di Wall street mentre passavano i manifestanti, cominciano a nascondersi. La mancanza di moralità del mondo finanziario sembra aver trovato un contropotere con cui non aveva fatto i conti: i suoi stessi clienti.

*Traduzione di Sara Bani.

Internazionale, numero 923, 11 novembre 2011*

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