13 marzo 2016 12:39

Los Angeles, primavera 2015, conferenza di presentazione dei titoli Electronic Arts (Ea, lo stesso editore di Fifa). Sale sul palco un ragazzo gentile, mite, tatuato, tale Martin Sahlin. Comincia a parlare del suo studio, Coldwood Interactive, composto da una quindicina di persone e situato a Umeå, nel nord della Svezia. Dice che per lui i giochi sono uno strumento potente, che limitarsi all’intrattenimento è poco, bisogna pensare in grande, al di là dei soliti generi.

Dice che Unravel, il loro gioco, è nato dal bisogno di fare qualcosa di diverso, munito di cuore, di passione. Il filo di lana, protagonista del gioco che, dice Martin, rappresenta l’amore, si srotola (unravel, appunto) perché è un po’ quello che succede quando ci separiamo da quello che amiamo. “In questo gioco siete il filo rosso che attraversa la vita di qualcuno, e cerca di rimettere insieme i pezzi mancanti”, ha detto Sahlin. Non è esattamente la tipica frase che si sente alle presentazioni dei videogiochi.

Poi Sahlin parla di quando, in vacanza con la famiglia nella campagna svedese, ha concepito Yarny. A questo punto lo estrae dalla tasca interna del giubbino e comincia a tremare. Questo imbarazzo, questa emozione trasmessa sullo schermo gigante dello Shrine Auditorium di Los Angeles, nella voce e nelle mani che non riescono a stare ferme davanti a centinaia di giornalisti del settore, abituati a presentazioni dove non si parla d’amore e non ci si emoziona per una cosa così tenera, è stata la migliore dimostrazione possibile del gioco, della sua filosofia e dello stesso Yarny, uno dei migliori personaggi e pupazzi concepiti negli ultimi tempi per un gioco.

Yarny non ha quasi lineamenti, non ha un sesso, ha delle orecchie da gatto e un corpo di filo di lana

Esistono molti personaggi antropomorfi, ricchi di sfumature, belli, con un’espressione particolare, una storia dietro, un riferimento alla cultura pop di qualche tipo. Yarny è qualcosa di diverso. Yarny non ha quasi lineamenti, non ha un sesso, ha delle orecchie da gatto e un corpo di filo di lana: ha talmente poche caratteristiche da sembrare più l’intuizione fortunata di un giovane padre di famiglia in campeggio a sud della Lapponia che il risultato di uno studio approfondito fatto di prove e tentativi (ecco tutta la presentazione).

Unravel.

Unravel è uscito da un mese e si presenta a prima vista come un gioco tradizionale. Fin dagli albori dei videogiochi, esistono titoli in cui si va nella direzione della lettura, da sinistra a destra, alla ricerca di un obiettivo, una via d’uscita, una principessa. In Pitfall, Golden Boy molte avventure di Mario e infiniti altri titoli, si anela a questo eldorado orientale, quasi fosse la via della seta per Marco Polo, un obiettivo esistenziale che è sempre di là, a est.

Le cose nei videogiochi sono cambiate parecchio rispetto agli anni ottanta, ma esistono alcune dinamiche in ogni linguaggio che sono immortali: come un personaggio al cinema che cerca di sparare a un altro (che si ripara dietro a un ostacolo mentre i proiettili fischiano vicino alle sue orecchie) è identico in Nemico pubblico del 1931 come in Sicario del 2015, così il platform a scorrimento resiste da trent’anni e non accenna a levarsi dall’orizzonte.

Unravel quindi è un gioco per certi versi molto familiare per i giocatori di tutte le generazioni, e anche per chi ha solo visto giocare e non ha mai preso in mano un joypad. Ma quello che lo rende interessante è la sua natura di gioco atmosferico.

La Svezia è probabilmente uno dei paesi europei che per primo ha ripensato i ruoli di maschi e femmine nella società

Da qualche anno esistono sempre più videogiochi occidentali (in oriente è un po’ tutto diverso) che stanno cercando di allargare la piattaforma emotiva del linguaggio, inserendo stati d’animo e contenuti che non hanno per forza a che fare con il cimento, la gara, la sfida, videogiochi dove non si spara e non si aspira, o almeno non solamente, alla soddisfazione della vittoria.

Sono giochi che hanno anche, per quello che valgono queste schematizzazioni, un profilo di genere più neutro, meno prettamente maschile. E la Svezia è probabilmente uno dei paesi europei che per primo ha ripensato i ruoli di maschi e femmine nella società e nella famiglia.

Yarny nasce dalla cesta dei gomitoli di una signora anziana che vive in una casa della campagna svedese. Da lì esce e si immerge nella natura per cercare delle coccardine decorate all’uncinetto perse per i dieci ambienti del gioco. Il filo lo collega costantemente alla casa, e per andare più lontano deve incorporare altre matassine di filo che si trovano qua e là lungo il percorso, e fungono da checkpoint.

Unravel.

Yarny parte dalle fotografie che ci sono a casa della signora, e ritrova i ricordi sulla propria strada nella forma di immagini traslucide di persone e situazioni del passato che si intravedono di tanto in tanto sullo sfondo.

Una libertà inebriante

Nel corso della sua avventura, il pupazzetto di filato deve risolvere piccoli enigmi, superare degli ostacoli o non farsi attaccare dagli animali, capendo come usare quello che trova nell’ambiente a proprio vantaggio. Il filo serve per sospendersi su dei chiodini, trascinare oggetti, tirare leve. Gli enigmi sono in genere abbastanza semplici, tranne alcuni decisamente più impegnativi, ma comunque nessuno può pensare di fare a gara su Unravel nel risolverli meglio o più in fretta, anche perché non c’è punteggio, non c’è tempo.

I dieci ambienti del gioco, legati a ricordi e fasi della vita della donna, sono lo svolgimento della storia, l’ossatura vera del gioco, mentre i meccanismi che permettono di attraversarli sembrano il collante che li tiene insieme. Ma quello che rende Unravel un gioco nuovo nell’impostazione è il fatto che il lavorio di Yarny per raggiungere un risultato così normale, cioè trovare un oggetto in fondo a un livello a scorrimento, ottenga un risultato emotivo così vario, delicato e alternativo.

I giochi cui siamo abituati si possono fare con la musica accesa, parlando al telefono, senza prestare attenzione al contorno. Se si gioca a Unravel così, si rischia di perderne il senso, che è tutto fatto di sfumature, di piccole cadute, difficoltà, paludi in cui la lana si inzacchera e sembra tenerlo faticosamente legato al passato, e aperture dove si respira una libertà inebriante.

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