21 aprile 2005 00:00

In questi anni nella filosofia morale e nelle scienze cognitive si è ragionato su quelle che sembrano essere intuizioni morali molto radicate, se non i fondamenti stessi del giudizio morale. Questa indagine prende spunto da alcuni esempi inventati che evidenziano certe sorprendenti uniformità di giudizio, comuni alle culture più diverse e presenti sia negli adulti sia nei bambini. In questo caso, prenderò invece un esempio reale che ci conduce al tema dell’universalità dei diritti umani.

Nel 1991 Lawrence Summers, già segretario del tesoro sotto il presidente Clinton e oggi preside dell’università di Harvard, era il chief economist della Banca mondiale. In un memorandum interno, Summers sostenne che la Banca doveva incoraggiare le industrie inquinanti a spostarsi nei paesi più poveri. Il motivo?

“Bisognerebbe produrre una parte di inquinamento nocivo per la salute nei paesi che comportano i costi più bassi, che sono anche quelli dove i salari sono più bassi. A mio avviso”, scriveva Summers, “nello scaricare rifiuti tossici nel paese con i salari più bassi c’è una logica economica impeccabile, e dobbiamo tenerne conto”. Quando il memorandum trapelò all’esterno, provocò reazioni furiose, sintetizzate dalla risposta a Summers dell’allora ministro dell’ambiente brasiliano José Lutzenburger: “Il suo ragionamento è perfettamente logico ma completamente folle”.

Ora, il metro di misura applicato nell’era moderna su problemi del genere è la Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1948. L’articolo 25 recita: “Ogni individuo ha diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; e ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà”.

Queste stesse disposizioni sono state ribadite negli accordi internazionali in materia di “diritto allo sviluppo”. Risulta chiaro, mi sembra, che questa formulazione dei diritti umani universali respinge la “logica impeccabile” del chief economist della Banca mondiale come profondamente immorale, se non folle.

La cultura occidentale accusa di “relativismo” quei paesi che interpretano la Dichiarazione in modo selettivo. Si dà il caso, però, che uno dei principali paesi relativisti sia la prima potenza mondiale, capofila delle nazioni che si autodefiniscono “illuminate”. Un mese fa, il dipartimento di stato americano ha pubblicato il suo rapporto annuale sui diritti umani. “La promozione dei diritti umani non è solo un elemento della nostra politica estera: è la base della nostra politica e la nostra prima preoccupazione”, ha dichiarato il sottosegretario di stato per gli affari globali Paula Dobriansky.

La Dobriansky è stata vicesegretario di stato per i diritti umani e le questioni umanitarie sotto le amministrazioni Reagan e Bush senior. In quella veste, ha tentato di confutare il “mito” secondo cui “i cosiddetti diritti economici e sociali sarebbero diritti umani”. Su questa posizione poggiano il veto posto da Washington al “diritto allo sviluppo” e il suo insistente rifiuto di accettare le convenzioni sui diritti umani.

Per rimediare

Ora il governo degli Stati Uniti potrà anche rifiutare quanto stabilito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, ma la popolazione statunitense non è d’accordo. Lo dimostra la reazione dell’opinione pubblica americana alla recente proposta di legge finanziaria, cioè il bilancio federale. Questa reazione è stata studiata dal Program on international policy attitudes dell’università del Maryland.

L’opinione pubblica di questo paese ha chiesto tagli incisivi delle spese militari, accompagnati da un aumento delle spese per l’istruzione, la ricerca medica, la formazione, la conservazione ambientale e le energie rinnovabili, nonché delle spese per le Nazioni Unite e per gli aiuti umanitari. Infine, ha chiesto che gli sgravi fiscali introdotti da Bush a favore dei ricchi siano revocati.

I ricchi e i potenti hanno tutte le ragioni per voler tenere l’opinione pubblica il più lontana possibile dalle scelte politiche. Il fatto che sia passato da poco il venticinquesimo anniversario dell’assassinio di Oscar Romero, l’arcivescovo di El Salvador noto come “la voce di chi non ha voce”, e che la Colombia – il paese colpevole del più alto numero di violazioni dei diritti umani di tutto l’emisfero – è oggi il principale beneficiario degli aiuti militari provenienti dagli Stati Uniti, ci ricorda che non siamo solo impegnati in seminari su princìpi astratti o nello studio di culture remote.

Stiamo parlando di noi stessi, e dei valori morali e intellettuali delle comunità privilegiate in cui viviamo. Se ci guardiamo allo specchio con sincerità e quel che vediamo non ci piace, abbiamo tutte le possibilità di rimediare.

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