16 luglio 2009 00:00

Le elezioni in Libano e in Iran e il golpe in Honduras sono fatti importanti sia sul piano interno sia per le reazioni suscitate nella comunità internazionale. Eppure il mondo continua a restare indifferente di fronte agli atti di pirateria commessi da Israele nel Mediterraneo.

Libano. Il risultato delle elezioni del 7 giugno è stato accolto con entusiasmo dai giornali statunitensi. “Adoro le elezioni libere”, ha scritto il 10 giugno Thomas Friedman sul New York Times. “In Libano le cose sono andate a meraviglia: il presidente Barack Obama ha sconfitto Mahmoud Ahmadinejad”.

Secondo Friedman il fattore decisivo è stata “una solida maggioranza di libanesi, musulmani, cristiani e drusi, che ha votato per la coalizione 14 marzo guidata da Saad Hariri”, il figlio dell’ex primo ministro Rafik Hariri assassinato nel 2005. Insomma, un trionfo di Washington: “Se nel 2005 George W. Bush non avesse costretto i siriani a lasciare il Libano dopo l’assassinio di Hariri, queste elezioni non ci sarebbero state”, scrive Friedman.

“Bush ha creato le condizioni e, con il suo discorso al Cairo, Obama ha alimentato le speranze dei libanesi”. In realtà le cose non sono andate proprio così. La coalizione 8 Marzo, che fa capo a Hezbollah, ha vinto più o meno con la percentuale di Obama su McCain a novembre. Secondo il ministero dell’interno libanese, ha ottenuto circa il 54 per cento dei voti. Quindi, Friedman avrebbe dovuto scrivere che Ahmadinejad aveva battuto Obama.

Come molti altri, Friedman si riferiva ai seggi in parlamento, visto che la legge elettorale libanese li attribuisce in base all’appartenenza religiosa dei partiti, distorcendo il voto popolare e danneggiando la comunità musulmana più numerosa, quella degli sciiti, che sostiene Hezbollah e il suo alleato Amal.

Iran. Come quello libanese, il sistema elettorale iraniano vìola i diritti fondamentali dei cittadini. Le candidature devono essere approvate dagli ayatollah, che possono bocciare quelle a loro sgradite. I risultati comunicati dal ministero dell’interno non erano credibili e hanno scatenato un’ondata di proteste poi brutalmente represse.

“È un vero movimento di massa, ci sono studenti, lavoratori, donne, borghesi e contadini”, ha scritto l’inviato Reese Erlich dalle strade di Teheran. È difficile che le proteste di oggi facciano cadere il regime religioso-militare, ma “stanno gettando il seme per le lotte future”.

Israele e Palestina. In realtà il voto palestinese del 2006 è stato un autentico esempio di “libere elezioni” in Medio Oriente.

Ma gli Stati Uniti e i loro alleati hanno reagito punendo la popolazione per aver votato “nel modo sbagliato”, cioè per aver fatto vincere Hamas. Israele ha messo sotto assedio Gaza e l’inverno scorso l’ha spietatamente bombardata. Poi, confidando nell’impunità di cui gode come alleato degli Stati Uniti, ha di nuovo imposto l’embargo sulla Striscia, dirottando la nave Spirit of humanity del movimento Free Gaza in acque internazionali e costringendola a raggiungere il porto israeliano di Ashdod. La nave era partita da Cipro, dove il suo carico di medicine, materiali per la ricostruzione e giocattoli era stato ispezionato.

Nessuno ha battuto ciglio di fronte a questo crimine. Anche perché Israele dirotta le navi che vanno da Cipro al Libano da decenni. Quindi perché prendersi la briga di denunciare l’ultimo sopruso di uno stato canaglia e del suo protettore?

Honduras. Anche l’America Centrale è stata teatro di un dramma legato alle elezioni. In Honduras un colpo di stato militare ha deposto il presidente Manuel Zelaya e l’ha espulso dal paese. Il golpe è un ulteriore episodio della “storia ricorrente dell’America Latina”, come la chiama l’economista esperto del continente Mark Weisbrot.

Una storia in cui “un presidente riformista appoggiato dai sindacati e dalla società civile si contrappone a élite mafiose e corrotte abituate a scegliere non solo i membri della corte suprema e del congresso, ma anche il presidente”. La stampa conformista descrive il golpe come un infelice ritorno a qualche decennio fa. Ma si sbaglia.

Questo è il terzo colpo di stato militare degli ultimi dieci anni, tutti conformi alla “storia ricorrente”. Il primo, quello del 2002 in Venezuela contro Chávez, è stato appoggiato da Bush, che ha dovuto tirarsi indietro quando tutta l’America Latina l’ha condannato e il governo legittimo è tornato al suo posto grazie a una rivolta popolare. Il secondo, quello di Haiti del 2004, è stato compiuto con la complicità della Francia e degli Stati Uniti: il presidente legittimo Jean-Bertrand Aristide è stato esiliato in Africa centrale.

La novità del golpe in Honduras è che Washington non l’ha appoggiato. Gli Stati Uniti l’hanno condannato insieme all’Organizzazione degli stati americani (anche se meno nettamente di altri paesi). Però è improbabile che Washington non fosse informata di quello che stava succedendo visto che l’Honduras dipende molto dai suoi aiuti e che i suoi militari sono armati e addestrati dagli Stati Uniti.

I rapporti militari tra i due paesi sono molto stretti fin dagli anni ottanta, quando l’Honduras era la base della guerra terroristica del presidente Reagan contro il Nicaragua sandinista. La “storia ricorrente” si ripeterà? Dipende soprattutto da come reagiranno i cittadini statunitensi.

*Traduzione di Bruna Tortorella.

Internazionale, numero 804, 17 luglio 2009*

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it