14 ottobre 2009 00:00

Il crollo dell’Unione Sovietica, simboleggiato dalla caduta del muro di Berlino, avrebbe generato – così si dice – un mondo unipolare, in cui gli Stati Uniti sarebbero ormai l’unica superpotenza globale. Nel giro di qualche mese l’amministrazione statunitense, guidata allora da George Bush padre, presentò il nuovo corso di Washington: tutto rimaneva come prima, ma con pretesti nuovi.

Come dire: abbiamo ancora bisogno di un colossale apparato militare, ma il motivo è che le potenze del terzo mondo sono ormai “tecnologicamente sofisticate”. E dobbiamo continuare a intervenire in Medio Oriente, regione ricca di petrolio e dove ci sono le minacce più significative agli interessi americani. Di tutto questo si è parlato poco, ma per chi spera di capire il mondo è una vicenda molto istruttiva.

Nel suo primo mandato l’amministrazione di George W. Bush è arrivata agli estremi del militarismo aggressivo e del disprezzo arrogante, e per questo è stata aspramente criticata. Poi, nel suo secondo mandato, Bush ha adottato una linea più moderata, estromettendo alcuni dei suoi collaboratori più estremisti (Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz, Douglas Feith e altri). E così la politica della Casa Bianca ha cominciato a rientrare nella normalità.

Quando Barack Obama stava per entrare alla Casa Bianca, Condoleezza Rice ha previsto che il nuovo presidente avrebbe seguito la politica del secondo mandato di Bush. E infatti è andata più o meno così, a parte la retorica diversa con cui Obama sembra aver incantato buona parte del mondo. In difesa della scelta di dare a Obama il premio Nobel per la pace, si potrebbe dire che la totale inerzia del nuovo presidente lo rende moralmente più meritevole di altri premiati del passato, di cui non farò i nomi.

Ma una differenza fondamentale tra Bush e Obama c’è. La spiegò benissimo uno dei più ascoltati consiglieri dell’amministrazione Kennedy, in un’era completamente diversa: al culmine della crisi missilistica di Cuba. A quel tempo gli strateghi di Kennedy presero decisioni che esponevano la Gran Bretagna al rischio di annientamento, ma non informarono gli inglesi. Ed ecco come quel consigliere definì la special relationship, cioè il rapporto speciale tra Washington e Londra: “La Gran Bretagna è il nostro luogotenente… anche se il termine oggi in voga è ‘partner’”.

Ecco, Bush e i suoi hanno trattato gli altri paesi da “luogotenenti”. Obama ha adottato una linea diversa: saluta educatamente i leader e i popoli del mondo chiamandoli “partner” e continua a trattarli da “luogotenenti” solo in privato. I leader stranieri preferiscono questo modo di fare, e anche l’opinione pubblica a volte ne viene ipnotizzata. Ma è più saggio prestare attenzione ai fatti che alla retorica e alle belle maniere.

Il sistema mondiale di oggi è ancora unipolare sotto un unico profilo: sul terreno della forza. Per il loro apparato militare, gli Stati Uniti spendono quasi quanto tutto il resto del mondo, e sul piano delle tecnologie di distruzione sono di gran lunga più avanti. Inoltre sono l’unico paese che ha centinaia di basi militari sparse in tutto il mondo e che occupa due paesi nelle regioni decisive del pianeta, quelle che producono energia.

Alla vigilia del primo viaggio di Obama in Russia, a luglio, Michael McFaul, il suo assistente speciale per la sicurezza nazionale e gli affari russi ed eurasiatici, ha dichiarato che Washington non avrebbe fatto concessioni sul programma di difesa antimissile in Europa dell’est e sull’ingresso nella Nato di due vicini della Russia, Ucraina e Georgia. Due mosse che la Russia vedeva come gravi minacce alla propria sicurezza.

Qualche settimana fa l’amministrazione Obama ha invece annunciato un “adeguamento” del sistema antimissile statunitense in Europa orientale. L’annuncio ha suscitato vari commenti, ma nessuno ha sollevato la questione centrale. Quei sistemi sono infatti propagandati come una difesa contro un eventuale attacco da parte dell’Iran, ma non è vero: un attacco missilistico iraniano è probabile più o meno come la caduta di un asteroide sulla Terra.

Invece quei sistemi servono a impedire ogni reazione contro un eventuale attacco americano o israeliano all’Iran. Sono cioè un’arma d’attacco: un dato su cui tutti gli interessati sono d’accordo, ma che a quanto pare si preferisce lasciare in ombra. Il piano di Obama potrà anche sembrare meno provocatorio alla Russia, ma a parte le affermazioni retoriche, è del tutto irrilevante per la difesa dell’Europa, se non come reazione a un eventuale primo attacco americano o israeliano contro l’Iran.

Anche se è unipolare sul piano militare, su quello economico il mondo, a partire dagli anni settanta, è diventato “tripolare”: il peso economico degli altri due poli, l’Europa e il nordest asiatico, è ormai paragonabile a quello del Nordamerica. Insomma, la crescita delle economie asiatiche sta determinando una diversificazione sempre più netta dell’economia globale.

E un mondo che, malgrado le resistenze dell’unica superpotenza, diventasse davvero tripolare non soltanto sul piano economico ma anche su quello politico, segnerebbe un grande progresso della storia.

*Traduzione di Marina Astrologo.

Internazionale, numero 817, 16 ottobre 2009*

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