19 agosto 2010 00:00

I documenti segreti dell’esercito statunitense sulla guerra in Afghanistan resi pubblici da Wiki­Leaks dimostrano che per gli Stati Uniti la lotta si sta facendo sempre più feroce, e per gli afgani sempre più terrificante. Per quanto siano preziosi, questi documenti potrebbero confermare la diffusa teoria per cui le guerre sono sbagliate solo quando non raggiungono il loro obiettivo, esattamente come pensavano i nazisti dopo Stalingrado.

Nel giugno scorso abbiamo assistito alla sconfitta del generale Stanley McChrystal, costretto a lasciare l’incarico di comandante delle forze statunitensi in Afghanistan e sostituito dal suo superiore, il generale David Pe­traeus. Le possibili conseguenze di questo cambio sono un allentamento delle regole militari, che renderà più facile uccidere i civili, e un prolungamento del conflitto.

In questo momento, la guerra in Afghanistan è il principale impegno militare del presidente Barack Obama. L’obiettivo ufficiale del conflitto è difenderci da Al Qaeda, un’organizzazione virtuale senza una base specifica, una “rete di reti” e un “movimento di resistenza senza leader”, come è stata definita dagli esperti di geopolitica. Oggi, ancora più di prima, Al Qaeda è formata da una serie di fazioni relativamente indipendenti, vagamente collegate tra loro e sparse in tutto il mondo.

La Cia calcola che ora in Afghanistan potrebbero avere tra i cinquanta e i cento militanti. Intanto i taliban sembrano ben consolidati nel loro vasto e inaccessibile territorio, che copre buona parte delle terre pashtun, e non abbiamo alcuna prova che vogliano ripetere l’errore di offrire rifugio ad Al Qaeda.

A febbraio, seguendo la nuova strategia di Obama, i marines hanno conquistato Marja, un piccolo distretto della provincia afgana di Helmand, il centro principale dell’insurrezione. In quella zona, ha scritto Richard Oppel Jr sul New York Times, “i marines si sono scontrati con un’identità taliban così forte che il movimento sembra essere l’unica organizzazione politica della città e coinvolge tutti i suoi abitanti. ‘Dobbiamo modificare il nostro concetto di nemico’, ha dichiarato il generale Larry Nicholson, comandante dei marines nella provincia di Helmand. ‘Qui quasi tutti si identificano con i taliban. Non dobbiamo pensare che stiamo cercando di cacciare i taliban da Marja, stiamo cercando di cacciare il nemico’”.

I marines si trovano davanti a un problema che ha sempre afflitto i conquistatori, e che gli Stati Uniti conoscono bene dai tempi del Vietnam. Nel 1969 Douglas Pike, il più importante esperto americano di Vietnam, si lamentava del fatto che il nemico – il Fronte di liberazione nazionale (Fln) – fosse l’unico “vero partito politico di massa del Vietnam del Sud”.

Qualsiasi tentativo di competere politicamente con quel nemico sarebbe stato come contrapporre un pesciolino a una balena, ammetteva Pike. Di conseguenza bisognava combattere l’Fln usando l’unica arma a disposizione degli Stati Uniti, la violenza, con risultati raccapriccianti. Anche altre potenze si sono trovate in una situazione simile: per esempio i russi in Afghanistan negli anni ottanta, dove vinsero tutte le battaglie ma persero la guerra.

Dopo il trionfo di Marja, ci si aspettava che le forze internazionali guidate dagli Stati Uniti avrebbero attaccato la città di Kandahar dove, secondo un sondaggio condotto dall’esercito lo scorso aprile, il 95 per cento della popolazione è ostile agli stranieri. Ma il progetto è stato rimandato, e questo è stato uno dei motivi delle dimissioni di McChrystal.

In queste condizioni non c’è da sorprendersi se le autorità statunitensi temono che il sostegno alla guerra in Afghanistan diminuisca ancora. Wiki­Leaks ha pubblicato un memorandum di marzo della Cia su come rafforzare l’appoggio dell’Europa occidentale alla guerra. Il sottotitolo era: “Ecco perché contare sull’apatia potrebbe non essere sufficiente”.

“La poca informazione sulla missione in Afghanistan ha permesso ai politici francesi e tedeschi di non tener conto dell’opposizione popolare e di aumentare regolarmente il loro contributo di truppe”, afferma il documento. “Berlino e Parigi sono ancora al terzo e quarto posto per numero di soldati inviati, anche se l’80 per cento dei francesi e dei tedeschi è contrario a un aumento del contingente”. Di conseguenza, è necessario “modificare il messaggio” per “prevenire o almeno contenere l’opposi­zione”.

Il memorandum della Cia ci ricorda che gli stati hanno un nemico interno: la loro stessa popolazione, che quando non condivide la linea politica del governo dev’essere tenuta sotto controllo.

A questo scopo, le società democratiche non usano la forza ma la propaganda, fabbricano il consenso creando “illusioni necessarie” e “ipersemplificazioni emotivamente efficaci”, per citare Reinhold Niebuhr, il filosofo preferito di Obama. La battaglia per controllare il nemico interno rimane quindi fondamentale, anzi proprio da quella potrebbe dipendere il futuro della guerra in Afghanistan.

*Traduzione di Bruna Tortorella.

Internazionale, numero 860, 20 agosto 2010*

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