Il mese scorso, l’amministrazione comunale di New York ha praticamente chiuso al traffico privato la Quattordicesima strada, una delle principali arterie di Manhattan, nella speranza di far scorrere più velocemente gli autobus.

La lobby sempre arrabbiata degli automobilisti locali – che suonano inutilmente il clacson e si lamentano di essere trattati ingiustamente – ha previsto il caos: il traffico si sarebbe riversato sulle strade più strette nelle vicinanze, e avrebbe spostato, se non peggiorato, il problema. Ma non è successo.

In realtà si è verificato il contrario del fenomeno della “domanda indotta”, per cui allargare le strade nel tentativo di decongestionare il traffico ne attira ancora di più, eliminando i vantaggi dell’iniziativa (in uscita da Houston, nel Texas, c’è una strada a 26 corsie, probabilmente la più grande del mondo, sulla quale negli anni successivi all’allargamento, i tempi di percorrenza sono aumentati del 55 per cento). Invece, quando è stata ridotta la capacità sulla Quattordicesima strada, la domanda è diminuita.

La logica della “domanda indotta” è ovvia: quando si offre una maggiore quantità di una cosa, o se ne abbassa il prezzo, la gente la userà di più, ma è meno evidente quanto questo possa influenzare le nostre vite. Un famoso esempio è quello dell’elettricità.

Se il vostro problema è avere un limite di tempo per le cose da fare, non illudetevi che la soluzione sia estendere quel limite

Secondo il paradosso di Jevons, producendo elettrodomestici che consumano meno energia si può ottenere l’effetto contrario a quello desiderato, cioè stimolare la domanda. Oggi mantenere fredda una bottiglia di latte costa molto meno, e danneggia meno l’ambiente, che nel 1940, ma il risultato di questo progresso non è che usiamo meno elettricità, è che compriamo frigoriferi più grandi, o più frigoriferi, e che adesso ne hanno uno anche le persone della fascia di popolazione a più basso reddito nel mondo. Questo ha molti aspetti positivi, ma non comporta un minor consumo di energia.

Meno ovvio è il fatto che lo stesso fenomeno vanifica la nostra battaglia contro il sovraccarico di email: se impariamo a smaltirle più velocemente, e quindi riduciamo il tempo che gli altri devono aspettare per risponderci, è probabile che ce ne mandino di più. Il lavoro aumenta per riempire il tempo che gli mettiamo a disposizione. Per questo le persone che si trasformano in strade a 26 corsie di produttività spesso si trovano ad avere meno tempo di prima.

Tenere alto il prezzo
Perfino una dinamica come il rapporto tra persone “iperattive e ipoattive” è una forma nascosta di induzione della domanda. Se in casa vostra siete la persona più attiva – quella che pulisce sempre la cucina, altrimenti non lo fa nessuno – dal punto di vista di chi abita con voi state tenendo basso il prezzo del non pulirla, rinforzando così la sua decisione di non prendersi la briga di farlo. E se per risparmiare tempo trovaste il modo per farlo più velocemente, abbassereste ulteriormente quel prezzo, facendo aumentare le probabilità di trovarvi a pulire la cucina anche domani, o l’anno prossimo.

E allora che fare? In pratica, se il vostro problema è avere un limite per le cose da fare, non illudetevi che la soluzione sia estendere quel limite. Sarebbe più sensato fare come nel caso della Quattordicesima strada e ridurlo, o almeno fissargli un tetto. Decidete di dedicare alle email un certo periodo di tempo al giorno, invece che cercare di rispondere a tutte, e limiterete il flusso in entrata. Smettete di pulire la cucina per una settimana, e chi abita con voi potrebbe raggiungere la soglia del disgusto e cominciare a farlo. E così via.

Attenti a non cadere nella trappola di voler “risolvere tutto”, che è l’equivalente di dare spazio a tutti gli automobilisti che vogliono usare una certa strada, perché spesso il risultato è un aumento delle dimensioni di quel “tutto”.

Consigli di lettura
Nel suo libro del 2016 Deep work, Cal Newport spiega che un buon modo per ridurre l’eccesso di lavoro è adottare il criterio della “produttività a orario fisso”.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian

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